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 2017  dicembre 31 Domenica calendario

Il duello fra giovani e pasdaran

Nel terzo giorno di manifestazioni contro gli ayatollah, nelle strade di Teheran si sono confrontati due Iran. Il governo, dopo aver cercato di mettere la sordina alle proteste, ha deciso di reagire e ha messo in campo i suoi sostenitori, nel tentativo di eclissare i dimostranti che continuano a cantare «abbasso Rohani», «abbasso il dittatore» e «libertà, libertà». Centinaia di pullman hanno trasportato dalla provincia nella capitale migliaia di uomini in uniforme nera, e soprattutto donne, anche loro vestite di nero, velate e con in mano i ritratti di Khomeini e Khamenei. Le immagini del grande raduno, vicino al mausoleo dove è sepolto il fondatore delle Repubblica islamica e al grido «morte ai sediziosi», hanno saturato i media filo-governativi.
La manifestazione pro-regime si tiene ogni anno per ricordare la «vittoria» contro l’Onda verde del 2009, quando i riformisti vennero schiacciati dalla milizia basij di Mahmoud Ahmadinejad, ma adesso è arrivata in parallelo con la prima ondata di arresti, almeno 52, e l’avvertimento del ministro dell’Interno Abdolrahman Rahmani Fazli a evitare «raduni illegali» per «non creare problemi a sé e agli altri». Le manifestazioni sono continuate lo stesso. Sul Web sono apparsi video che mostrano centinaia di persone, vestite all’occidentale, marciare a Teheran ma anche nella città santa di Qom, culla dello sciismo iraniano, e scandire slogan contro il regime, per la liberazione «dei prigionieri politici», contro i soldi indirizzati negli interventi in Siria e Iraq «mentre noi siamo costretti a chiedere l’elemosina», e persino a favore dello scià Reza Pahlavi, deposto nel 1979: «Che riposi in pace».

Altri filmati sono arrivati da Rasht, Hamedan, Kermanshah, Qazvin, dove la polizia ha disperso i dimostranti con i cannoni ad acqua. A Dorood, nella provincia del Lorestan, invece, i pasdaran sparano sulla folla uccidendo tre persone, ma sul sito di «Al Arabiya», che cita fonti locali, si parla di sei vittime. La risposta del regime è stata comunque più contenuta, finora, rispetto al 2009. Pur diffuse in tutto il Paese, le manifestazioni non hanno ancora le dimensioni massicce dell’Onda verde. Anche la direzione politica è poco chiara. Il movimento sembra spontaneo, una reazione rabbiosa agli aumenti dei prezzi nei beni di prima necessità, dalla benzina agli affitti, non più calmierati dai sussidi, ridotti nell’ultima legge di bilancio, e anche al fallimento di fondi di investimento legati a istituti religiosi, che hanno bruciato i risparmi di intere famiglie.
Le riforme promesse dal presidente Hassan Rohani, eletto per la prima volta nel 2013, sono rimaste a metà del guado. I benefici dell’accordo sul nucleare, finalizzato due anni fa, nel dicembre del 2015, ancora non si vedono, anche se le grandi imprese europee sono tornate in Iran con investimenti per decine di miliardi. Ora Rohani dovrà decidere se cedere alle pressioni degli oltranzisti o continuare a usare la mano morbida. Il governo appare diviso. Uno dei vicepresidenti, Massoumeh Ebtekar, ha accusato i dimostranti di essere «eterodiretti» da potenze straniere (Usa e Israele), anche se ha ribadito il loro «diritto a manifestare». Dal fronte più riformista, Hesamoddin Ashena, consigliere culturale del presidente, ha insistito sul fatto che «il popolo ha diritto di essere ascoltato» mentre il Paese «affronta sfide difficili, disoccupazione, carovita, corruzione, mancanza di acqua, diseguaglianze e ingiusta ripartizione del bilancio pubblico».
In pratica tutte le storture che Rohani aveva promesso di raddrizzare. Gli oppositori fanno notare come negli Anni Duemila, segnati dai due disastrosi mandati di Ahmadinejad e dalle sanzioni internazionali, il Pil dell’Iran, che era superiore a quello della Turchia, adesso sia soltanto la metà, nonostante la produzione di quattro milioni di barili di petrolio al giorno. Ma anche il campo dei conservatori sta manovrando, e paradossalmente potrebbe sfruttare a suo vantaggio il malcontento. Lo stesso Ahmadinejad conduce una campagna sotterranea in vista delle prossime elezioni politiche del 2020, fatta di dichiarazioni pubbliche e messaggi sui social network.
Se le manifestazioni dovessero assumere una tinta apertamente anti-regime, a Rohani resteranno pochi spazi di manovra. Un primo assaggio si è visto ieri all’Università di Teheran, al centro dei movimenti di protesta già nel 1999, poi nel 2003, fino alla sanguinosa repressione nei dormitori studenteschi del 2009. Da allora l’ateneo è una «linea rossa» per il regime. Ieri un piccolo raduno di universitari è stato sopraffatto dalla manifestazione pro-regime. Gli ayatollah sanno bene come il movimento studentesco possa fare da carburatore a tutte le rivoluzioni. E faranno di tutto per soffocarlo in tempo.