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 2017  dicembre 30 Sabato calendario

L’invasione dei cinesi. Razzia di latte in polvere nei negozi dell’Australia

A Perth, Australia Occidentale, escluso il cricket o gli squali, non c’è conversazione senza la presenza ingombrante della Cina. Ma qual è la maggiore preoccupazione? Non le rivendicazioni territoriali di Pechino sul Mar Cinese meridionale o sulle isole Diaoyu (Senkaku per i giapponesi, Tiaoyutai per i taiwanesi).
Non il cavallo di Troia informatico Huwaei, che per buona misura il governo australiano ha da tempo messo al bando nelle forniture per la Difesa o per altri settori sensibili; non l’affitto per 99 anni del porto di Darwin con proteste americane, causa la contigua base navale che serve agli Usa per controllare l’espansionismo marittimo cinese. No, ad agitare le acque del Pacifico, è l’emergenza latte in polvere di cui fanno incetta i «daigous» cinesi.

L’allarme
I daigous non sono né Seal americani né «omini verdi» di Putin. Sono cinesi all’estero, visitatori o residenti, che fanno acquisto di beni di consumo destinati ad altri in patria, per famiglia, amicizia – o per profitto. Il «baby formula» cinese per neonati è considerato di cattiva qualità; nel 2008 la contaminazione con la melamina avvelenò circa 300 mila bambini. Sono ormai centinaia di milioni i cinesi che hanno varcato la soglia della classe media. Anche se in controlli sanitari sono diventati stringenti, quale famiglia non farebbe di tutto per avere cibo per l’infanzia di qualità occidentale?
L’allarme scatta una settimana prima di Natale. «Le mamme australiane rimangono senza latte in polvere perché i compratori cinesi svuotano i negozi» titola in prima pagina il West Australian. Facciamo pure la tara. Passate le festività la mano invisibile del mercato ristabilirà l’equilibrio fra domanda e offerta. Resta il fatto che intanto i supermercati hanno contingentato le vendite: non più di due confezioni a singolo acquirente; un sito online restringe gli acquisti ai soli residenti in Australia.
Il latte in polvere è solo la punta dell’iceberg di un florido commercio alla spicciolata di beni acquistati dai daigous in Occidente per il consumo in Cina. Questi fenomeni non sono solo cinesi; quando la Russia introdusse le contro-sanzioni che restringevano le importazioni alimentari dall’Ue, gli albergatori italiani scoprirono, con stupore, nelle stanze dei clienti russi i mini-frigoriferi pieni di generi alimentari alla vigilia della partenza.
Non c’è crisi che non sia anche un’opportunità: è già spuntata in Australia una catena di negozi (AuMake) dedicati al mercato daigou. In tre mesi il valore delle azioni è aumentato più di otto volte; amministratore delegato di origine cinese, naturalmente.
L’emergenza latte in polvere sarà presto il ricordo di un disagio passeggero, senza crisi diplomatica fra Canberra e Pechino. Neppure le mamme australiane ne danno la colpa a Xi Jinping. Semmai l’assedio dei daigou ai supermercati ha un che di rassicurante: l’Occidente ha ancora qualcosa da offrire! Non è irrilevante per un paese, come l’Australia, che avverte quotidianamente la presenza di Pechino. In Europa possiamo cullarci nell’illusione della lontananza e ignorarne, a nostro danno, lo strapotere emergente. Non qui.
La sfida della Cina
Da noi il discorso di Xi Jinping al 19° Congresso ha fatto notizia per un paio di giorni. Qui è interpretato come l’annuncio di una «sfida ideologica, strategica e economica all’Occidente». Con i segnali misti che vengono da Washington, che un giorno esce dal Tpp lasciando campo libero commerciale a Pechino, un altro alza la soglia militare strategica con un chiaro messaggio di dissuasione alla Cina, c’è chi si domanda se in un modo globale il modello cinese non possa risultare vincente.
Non c’è nulla di scontato nella continuità dell’ordine internazionale liberale costruito dall’Occidente. Dopo il XX secolo americano, il XXI può essere cinese. Pechino ha molte carte da giocare. Ha fatto enormi progressi in poco tempo. Per sfidare veramente l’Occidente dovrà però anche accontentare i daigous e mettere latte in polvere di qualità sugli scaffali dei supermercati di Shanghai e di Guangzhou. La partita è aperta.