la Repubblica, 30 dicembre 2017
«Fammi vedere il libretto»: sfida al Tar tra padre e figlia sui voti all’università
La studentessa aveva fatto causa al papà, che non voleva più pagarle gli extra E aveva vinto. Ma l’uomo non si arrende: “A 26 anni è ancora alla triennale”pordenoneChiede all’università di Udine copia del libretto d’esami della figlia, che a 26 anni, mantenuta in tutto e per tutto, non ha ancora concluso la laurea triennale in Relazioni pubbliche a Gorizia, e la risposta è un garbato, ma fermo diniego. E allora a lui, il papà bancomat che una sentenza del tribunale di Pordenone, confermata in Appello a Trieste, ha condannato a versarle un assegno mensile di 350 euro a copertura degli extra, non resta che proporre ricorso al Tar del Friuli. Cercando così in un giudice, ancora, l’arbitro della querelle familiare che, da anni, lo costringe a una lotta senza quartiere con la maggiore delle sue eredi.La stessa che, all’inizio dell’anno, non aveva esitato a fargli causa, pur di continuare a beneficiare del trattamento all inclusive cui il padre, anche dopo il divorzio dalla madre, l’aveva abituata. Compresa la stanza in affitto a due passi dall’ateneo che le aveva permesso di frequentare le lezioni. Senza tuttavia incentivarla, evidentemente, a tenere il passo con gli esami.Ora, obbligato da due gradi di giudizio a garantirle pure le «spese personalissime e ludico-ricreative, anche straordinarie», almeno fino al 30 giugno 2019, a passare al contrattacco è stato lui. Gino Cecchini, 59 anni, di professione agronomo, residente a Cordovado e con un’altra figlia studentessa a carico, pretende di sapere se il denaro investito sull’istruzione della prima – la «fannullona», come lui stesso l’aveva definita in un’intervista aRepubblica all’esito del procedimento civile – abbia reso qualche frutto. Chiede, insomma, di conoscerne il rendimento, al giro di boa del settimo anno d’iscrizione e dopo i non pochi, e vani, tentativi di convincerla a cercarsi un lavoro.«In quanto genitore – ricorda il suo avvocato, Francesco Silvestri – è un diritto che gli viene riconosciuto dall’articolo 30 della Costituzione. Anche perché, a questo punto, se il libretto dovesse evidenziare un andamento ancora zoppicante, saremmo legittimati a chiedere la riduzione o l’eliminazione dell’obbligo al mantenimento agli studi». Del resto, erano stati gli stessi giudici triestini ad auspicare un maggiore impegno della studentessa, «al fine di dimostrare al padre – questa la ratio — la propria volontà evolutiva verso la totale maturazione».Con il suo niet, però, l’ateneo friulano ha dimostrato di pensarla diversamente. Accertato il «diniego» già espresso dalla figlia a una discovery dei risultati accademici conseguiti dopo la vittoria giudiziaria – tre esami in tutto, si era limitato a rispondere al padre il suo legale, senza alcuna indicazione dei voti e del peso ponderale delle prove sostenute –, l’università ha rigettato l’istanza, considerandola priva di un «interesse diretto, concreto e attuale». E gettando benzina sul fuoco di una lite giudiziaria diventata esemplare delle dinamiche che regolano la gestione dei figli in Italia.Era stato il timore di essere costretta d’improvviso a rimboccarsi le maniche e a rinunciare agli agi in cui il padre le aveva permesso di crescere, a spingerla a fargli guerra a suon di carte bollate. «A casa mia o studi o lavori», le aveva detto. E così lei aveva preso carta e penna e compilato l’elenco dei desiderata: dal pacchetto universitario alle vacanze, la palestra, il parrucchiere e l’estetista, per un totale di 2.577,38 euro al mese. I giudici hanno dato ragione alla ragazza e la sentenza, anche a parere dell’avvocato Silvestri, non fa una piega. «Non hanno fatto altro che mettere nero su bianco quanto avviene da tempo nelle aule di giustizia – il suo commento –. La sentenza è lo specchio della società».