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 2017  dicembre 30 Sabato calendario

Petrolio e metano bloccati, scommessa per evitare stangate

Il peggio (per le tasche degli italiani) è forse alle spalle. I mercati, intendiamoci, sono capricciosi e le sorprese sono sempre in agguato. Il rialzo delle quotazioni del petrolio però +14% nel 2017 – è arrivato quasi al capolinea, dicono gli esperti. E il prezzo del gas naturale, scivolato quest’anno del 17%, pare destinato a rimanere basso causa surplus d’offerta.
Risultato: i ritocchi all’insù delle bollette – prezzi delle materie prime alla mano – dovrebbero essere (incrociando le dita) quasi terminati.L’arte di fare previsioni sui prezzi dell’energia, ovviamente, non è una scienza esatta in un mondo dove le variabili naturali (come gli uragani negli Usa) e quelle geopolitiche possono far saltare in un attimo tutte le certezze. Dopo tre anni da brividi e sull’ottovolante, però, il mercato – grazie ai tagli della produzione di greggio fino a fine 2018 decisi dall’inedito asse tra Opec e Russia – sembra aver trovato un suo punto d’equilibrio.Il percorso per arrivare a questa situazione è stato tutt’altro che lineare: a inizio 2014 il petrolio quotava 110 dollari al barile, i big dell’oro nero si mettevano in tasca 500 milioni di profitti al giorno e gli Stati Uniti, a caccia dell’indipendenza energetica, inseguivano a suon di miliardi (250 di investimenti) la chimera dello shale oil.Poi, dalla sera alla mattina, è cambiato tutto. I Paesi del Golfo, preoccupati per la concorrenza dell’oro nero made in Usa, hanno alzato la produzione, la crescita stellare dell’energivora Cina ha iniziato a dare qualche timido segno di stanchezza e le quotazioni hanno messo la retromarcia: già a fine 2014 viaggiavano a quota 50 dollari al barile, più che dimezzate in sei mesi, a inizio 2016 sono sprofondate a 33 dollari prima di riprendere l’ascesa che le ha riportate oggi ai 60 dollari al barile del Wti.L’ottovolante del greggio ha avuto un doppio effetto: il taglio prima (e il rialzo ora) del costo di luce e gas per gli italiani e una radicale metamorfosi dell’industria energetica. Il “peso” del prezzo delle materie prime nelle bollette tricolori (pari a circa la metà della tariffa finale) è scivolato dai 10,4 euro a kilowattora di inizio 2014 ai 7,4 di metà 2016 prima di tornare adesso a 9,3 euro.I giganti del settore, invece, si sono rifatti il look con una dieta drastica per far quadrare i conti, tagliando gli investimenti (- 35%) e fermando la ricerca di nuovi giacimenti. Il crollo delle quotazioni ha cambiato il volto pure al mondo dello shale-oil, che con il greggio a 30 dollari perdeva 9 miliardi al trimestre: molte imprese hanno chiuso, chi è sopravvissuto ha sforbiciato i costi e migliorato le tecnologie abbassando del 35% in due anni a 50 dollari al barile il livello cui i conti di bilancio vanno in attivo.Dove andranno ora le quotazioni?Il livello attuale, dicono gli esperti del settore, è una soluzione di compromesso che potrebbe andare bene a tutti i protagonisti del mercato.L’Opec e la Russia – con le loro economie legate a filo doppio agli idrocarburi – hanno fissato a circa 65 dollari l’equilibrio tra le loro esigenze di bilancio (Riad deve pure quotare il gigante pubblico Aramco) e la necessità geopolitica di contenere l’espansionismo energetico degli Usa. Washington ha raggiunto l’indipendenza dalle forniture del Golfo, anzi esporta circa un milione di barili al giorno. E grazie alla crescita esponenziale dello shale raddoppierà la produzione nazionale dai 15 milioni di barili del 2005 ai 31 previsti nel 2030.I big del settore hanno ripreso a far utili e da quest’anno riprenderanno pure ad aumentare gli investimenti, cavalcando la riforma fiscale di Donald Trump che arricchirà i giganti del petrolio Usa. Il surplus di produzione in arrivo dal Nord America e dai Paesi non Opec come Libia e Nigeria dovrebbe contribuire così a calmierare i prezzi (anche quelli delle bollette) attorno ai livelli attuali, dicono i guru.Lo stesso discorso vale per il gas naturale. La domanda di questa materia prima più pulita (che rappresenta ormai il 22% dei consumi energetici mondiali ) è in forte crescita in Cina e in India. Ma l’offerta – grazie alla scoperta di nuovi giacimenti sale ancora più rapidamente. E a tener fermi i prezzi contribuisce pure l’Europa che sta tagliando gli ordini (i consumi di gas sono inferiori del 12% rispetto a dieci anni fa) a favore dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, che nel Vecchio Continente rappresenta ormai il 16% dei consumi totali.