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 2017  dicembre 28 Giovedì calendario

L’ex ambasciatore David Thorne: Volti nuovi e impopolarità di Trump. Così parte la riscossa dei democratici

Negli ultimi anni la politica americana ha visto una perfetta oscillazione tra i due principali partiti: otto anni di amministrazione Clinton seguiti dagli otto di George W. Bush e quindi dagli otto dell’amministrazione Obama. Ma, mentre le presidenze vanno e vengono, la direzione della politica americana, fin dal 1974, è stata punteggiata da «ondate» elettorali – grandi capovolgimenti con cui l’elettorato esprime con forza, spesso con rabbia – il proprio scontento per lanciare un messaggio a chi governa.
Ho vissuto la prima di queste «ondate», nel 1974 – da consulente politico. Quell’anno ero in prima linea nella campagna del Congresso e con i miei soci mi occupavo di un’elezione speciale nel Michigan – in un distretto marcatamente repubblicano – che finì a sorpresa con un’inaspettata vittoria dei democratici. Era il preavviso di un cambiamento di rotta – e nel novembre del 1974 i democratici presero 49 seggi parlamentari ai repubblicani – un netto ripudio di Nixon e del suo partito nell’era post-Watergate – aprendo le porte a una classe storica di futuri leader democratici. Nel corso degli anni abbiamo visto altre inversioni di rotta di questo genere: nel 1980 per il Gop (Grand Old Party, il Partito repubblicano), nel 1982 e nel 1986 per i democratici, nel 1994 per i repubblicani con la rivoluzione di Gingrich, poi nel 2006 e nel 2008 i democratici hanno conquistato una maggioranza congressuale di proporzioni quasi storiche e nel 2010 c’è stata la rivoluzione del Tea Party.

Ricorsi storici

La storia è destinata a ripetersi nel 2018? Mi sa proprio di sì. Negli ultimi sessanta giorni, i democratici hanno ottenuto una serie impressionante di vittorie contro i candidati sostenuti da Trump. Un democratico ha vinto il governatorato della Virginia contro il repubblicano Ed Gillespie appoggiato da Trump innescando così un drastico cambiamento nella Camera dei Delegati. Il democratico Philip Murphy (il nostro ambasciatore in Germania mentre ero a Roma) ha vinto in New Jersey dopo otto anni di Chris Christie. Ma queste vittorie non sono nulla rispetto all’euforia che ha salutato il trionfo di Doug Jones in Alabama nell’elezione speciale per un seggio al senato contro il candidato di Trump, Roy Moore, accusato di molestie sessuali. L’Alabama non mandava un democratico al Senato dal 1990.
Cosa significa tutto questo? Si sta preparando uno tsunami democratico, o questa ondata si spegnerà e morirà prima di colpire le coste politiche nel novembre 2018? Oltre ai recenti risultati elettorali, ci sono una serie di segnali che indicano una significativa riscossa democratica.
Durante il mio incarico a Roma per conto del presidente Obama nel 2009, ricordo molti segnali d’allarme lanciati dai miei amici al Comitato nazionale democratico. I repubblicani non solo stavano raccogliendo molti più soldi, ma c’erano molti altri candidati repubblicani a incarichi locali e nazionali pronti a scendere in campo. Obamacare era diventato una parolaccia, il Tea Party stava ribaltando la politica, e persino le elezioni speciali del Massachusetts, indette per il seggio lasciato vacante dal defunto Ted Kennedy, erano state vinte da un repubblicano. Fu questo il primo segnale dell’ascesa dei conservatori del «Tea Party» alle elezioni del 2010 che destabilizzarono l’agenda di Obama per il resto della sua presidenza.
I democratici non sono riusciti a contrastare la rimonta conservatrice in modo efficace perché erano divisi, mentre i repubblicani facevano sempre più presa sull’elettorato.
Ma ora, a fine 2017, in un momento analogo del ciclo elettorale, dopo un anno di costante opera di disgregazione da parte del presidente, è in corso la dinamica opposta. I democratici hanno vinto le elezioni speciali in posti chiave con un margine considerevole e, cosa forse ancora più minacciosa per i repubblicani, stanno schierando molti nuovi candidati. Nel 2009, ad esempio, in questo momento i repubblicani avevano 56 nuovi candidati contro i 28 dei democratici: un rapporto di due a uno. Oggi i democratici hanno oltre 291 nuovi candidati contro i 71 dei repubblicani, un rapporto di quattro a uno, e il loro numero sta ancora crescendo. I miei amici democratici ricordano come nel 2009 assistettero impotenti all’ascesa degli avversari.
Il vantaggio
Le elezioni di metà mandato si terranno tra 10 mesi e nei sondaggi i democratici hanno tra i 10 e i 18 punti di vantaggio: è un livello di guardia. Per i repubblicani, Trump è ormai una pietra al collo, che li spinge a fondo. Basti considerare che 11 mesi prima che il loro partito fosse battuto alle elezioni di Midterm del 1994 e del 2010, Clinton e Obama avevano il 54% di consensi, Trump è al minimo storico con il 35%.
In base alla mia esperienza politica è difficile rovesciare una tendenza di questo genere. Certo, la politica si gioca sulle emozioni, ma anche sui numeri e ora i numeri sembrano decisamente a favore dei democratici.
L’intensità è un fattore sempre difficile da valutare in termini elettorali in un anno intermedio. I democratici sono galvanizzati. Ma la mappa delle elezioni al Senato favorisce il Partito repubblicano, anche dopo l’Alabama. I democratici devono difendere i seggi negli Stati «rossi» in cui Trump rimane relativamente forte.
La base populista
La base politica populista e conservatrice di Trump è rimasta salda e tutte le sue decisioni politiche e diplomatiche sembrano dirette solo a volersene conservare il favore. Questa lealtà è un dato che non dovrebbe essere sottovalutato. Il jolly, in questo caso, è la nuova legge fiscale. Trump otterrà credito per la vittoria, con un beneficio economico a breve termine, o la riforma diventerà un nuovo Obamacare – un impopolare fardello? Forse, come dicono i repubblicani, l’alta marea fa galleggiare tutte le barche e tutti ne beneficeranno. Questo risultato contribuirebbe inevitabilmente a salvare in parte i repubblicani nelle elezioni di Medio termine.
Ma nel 2010 la ripresa economica ha aiutato ben poco i democratici. Inoltre, la nuova legge fiscale fa poco per la classe media e per i poveri, elettori di Trump in posti come il Michigan, il Wisconsin e l’Ohio. Se la delusione in campo economico inizia a infiltrarsi in quella base – che ha già mostrato segni di sfilacciamento nei sobborghi bianchi – questo insieme al crescente vantaggio numerico dei democratici, mi porta a prevedere per il prossimo novembre un significativo riallineamento politico in America.
Potrebbe davvero arrivare un’onda – un’onda blu per i democratici, che potrebbero riconquistare un ramo del Congresso e rovinare per sempre il corso della presidenza Trump.