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 2017  dicembre 28 Giovedì calendario

«Spediamo in Niger cinquecento soldati per aiutare la Francia»

«È un imperialismo straccione», attacca, senza mezze parole. «Un cancro della umanità che ha invaso anche il corpo politico italiano, producendo un mutamento genetico imprevedibile». Si chiama Otto Bitjoka, sta parlando dell’invio dei quasi 500 militari italiani in Niger, e ha titolo per farlo perché è consulente di numerosi governi africani per i rapporti con l’Europa. Bitjoka non fa sconti: «Quando ho saputo della nostra spedizione militare, non ne ho capito la necessità. Cosa servirà all’Italia?». È un pezzo d’uomo di etnia bantu – lo sottolinea con fierezza – nato in Camerun ma cresciuto in Europa, laurea alla Cattolica di Milano in Scienze bancarie, perfezionamento a Parigi, è milanese da oltre trent’anni, fa l’imprenditore, si è candidato alle ultime regionali nella lista “Ambrosoli presidente” ed è il fondatore di due non profit, Ethnoland e Kula, entrambe dedicate al riscatto economico-sociale dell’Africa. «L’invio di 500 militari nel Niger sotto la falsa copertura di una pseudo missione di sterilizzazione del flusso immigratorio verso l’Europa e l’annientamento del terrorismo nel Sahel è una barzelletta», insiste. E spiega di che si tratta, in realtà, secondo lui: «Il vero obiettivo è quello di controllare le materie prime di noi africani, cioè innanzitutto l’uranio, ma anche il sole, prezioso a sua volta per la produzione dell’energia rinnovabile... e tante altre ricchezze». NEOCOLONIALISMO? Dunque un’Italia neocolonialista? Oppure un Paese satellite della Francia di Macron? A giudicare da quel che dice Bitjoka, entrambe le cose: «La Francia e le sue multinazionali sono in difficoltà in questo momento in Africa», osserva. E cita una sentenza – nota a pochissimi fuori Parigi – con cui la Corte suprema del Benin ha accolto il ricorso di un imprenditore locale contro il gruppo di Vincent Bolloré (il padrone di Telecom), bloccando la costruzione di un tratto della ferrovia tran-Sahel che il magnate francese intendeva creare per collegare meglio i porti che già gestisce. «Il piano di Bolloré era chiaro, una ferrovia moderna per le sue merci, con presidio militare... Ma non ha funzionato. Stanno cambiando i tempi, c’è una nuova generazione africana consapevole del proprio ruolo nella lotta contro le missioni predatrici. E cosa fa l’Italia? Va subito in aiuto del cugino. La battaglia di Adua durante la guerra di Abissina il 1° marzo 1896 dovrebbe insegnare qualcosa!». Insomma: colonialisti per conto terzi, secondo la tesi di Otto Bitjoka. Soldati italiani in Niger per fare un favore ai francesi, i quali già ci hanno maramaldeggiati in Libia: si vedrà poi in cambio di che cosa... Bitjoka indubbiamente la butta in «politica coloniale»: del resto è la sua missione, il suo mantra, convinto com’è che l’Africa debba «tornare agli africani» e che la migliore emigrazione per i suoi concittadini sia quella di non emigrare affatto e restare lì, a promuovere uno sviluppo economico e demografico che l’Occidente, lo dicono tutte le stime, non conoscerà mai più: «La vera sfida che abbiamo di fronte è quella dell’imperialismo contro la sovranità, la nuova sovranità con cui l’Africa sta prendendo coscienza che da questa globalizzazione eterodiretta non riceve alcun vantaggio competitivo». L’URANIO Fin qui Bitjoka. E sapendo che il principale gruppo energetico nucleare francese, Areva, deriva il suo business al 30% dall’uranio, e che il Niger è il quarto produttore mondiale di uranio, l’interpretazione «filo-francese» si fa suggestiva (oltretutto l’Italia importa energia elettrica dalla Francia). Tanto più se la si ricollega al forzato accordo sui cantieri navali che l’Italia si è vista imporre da Macron quando Parigi ha detto no alla pura e semplice conquista dei cantieri di Saint Nazaire che era giù stata realizzata da Fincantieri. C’è però chi – da un punto di vista diverso (è consulente del governo italiano) ma a sua volta con ampia competenza strategica – la racconta in un modo opposto: è Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali: «Chi parla dei grandi interessi occidentali sull’uranio, sulle terre rare eccetera, non dimentichi che le attività estrattive presuppongono la sicurezza del territorio», afferma, «e l’Occidente deve far sì che questi Paesi siano più ricchi, abbiano più possibilità e siamo meno corrotti. Quindi occorrono politiche di government building e tattiche di presidio del territorio. Le forze armate di questi Paesi sono in larga parte anni luce dietro quelle occidentali, e per di più si arroccano nelle capitali come polizze anti-golpe, sguarnendo il resto del territorio, dove si aprono praterie per i gruppi jihadisti e per i mercanti di esseri umani». Anche questa è una lettura sensata. Probabilmente, sono vere entrambe.