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 2017  dicembre 29 Venerdì calendario

Nba ai piedi della sua precisione. Belinelli e l’arte del tiro libero

Il corpo rilassato, l’angolo retto tra spalla, gomito e polso, il pallone poco sopra gli occhi, fissi sul canestro. Nell’odierna Nba, nessuno meglio di Marco Belinelli e Danilo Gallinari sa compiere i gesti descritti sul manuale del tiro libero, l’esecuzione effettuata a gioco fermo a 15 piedi (4 metri e 57) dal tabellone per amministrare i falli.
Belinelli comanda la graduatoria Nba della percentuale ai liberi con un 95,7% che gli permette di guardare dall’alto in basso Steph Curry, Kyrie Irving e Kevin Durant. Una media che, mantenuta per tutta la stagione, sarebbe la quarta in 70 anni di storia Nba. A meno che Gallinari non rientri in tempo per ottenere il numero minimo di tentativi, e restando sull’attuale 97,2% Danilo salirebbe al secondo posto di sempre.
Il colpo sottovalutato
Gli europei insegnano agli americani a tirare i liberi, anzi a tirare. Il concetto è soltanto in parte forzato, posto che nessuno ha mai chiuso una stagione con il 98,1% di Jose Calderon nella fase del gioco di maggiore uguaglianza: essere alti o bassi, atletici o appesantiti non conta, perché il gioco è fermo e le condizioni sono uguali per tutti.
Il tiro libero, che mette il giocatore di fronte a se stesso, è la meno considerata tra le conclusioni del basket, con il suo unico punto assegnato, ma ritenerlo un aspetto trascurabile del gioco sarebbe fuorviante. Non a caso, i canestri dalla lunetta incidono tra il 25 e il 30% sui punti delle squadre Nba. E la storia delle finali offre un’ampia letteratura di titoli assegnati grazie alla precisione – o all’imprecisione – ai liberi, basti pensare ai due errori di Karl Malone (Utah) in gara 1 della serie del 1997 a Chicago, o all’incredibile 0-4 di Nick Anderson (Orlando) due anni prima. Un flop che cambiò la storia dei Magic, che nel 1996 persero Shaquille O’Neal, il cui nome è a sua volta legato ai liberi: nessuno come Shaq è stato mandato in lunetta di proposito, meglio sfidarlo sul suo punto debole che cercare di limitare il suo strapotere fisico.
La crisi di O’Neal nell’esecuzione a gioco fermo divenne tale che gli venne suggerito – per migliorare la parabola – di tirare i liberi da sotto, il movimento che viene naturale compiere da bambini. Ma anche il gesto con cui Rick Barry – lo Steph Curry di 40 anni fa, lui pure a Golden State – era stato una sentenza dalla lunetta. Shaq rifiutò per… vergogna: non avrebbe sopportato lo scherno degli avversari.
Come un robot
Belinelli non ha mai avuto quel tipo di problema: l’allenamento al tiro, fin da bambino, l’ha portato ad essere uno dei grandi specialisti della Lega, non a caso nel 2014 vinse la gara del tiro da tre all’All Star Game e venne selezionato per insegnare al robot Racer a tirare. L’automatismo nel gesto tecnico ha portato alla fiducia in se stesso, foriera di precisione degna di una finale olimpica del tiro a volo. Il bolognese è stato il primo (e unico) italiano ad aggiudicarsi il titolo Nba, ora il suo ruolo di pioniere può arricchirsi con un altro alloro.