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 2017  dicembre 29 Venerdì calendario

Il sorbo sa sorprendere sempre con le gemme che pulsano di vita

Ci sono alberi che, seppur senza più foglie, rimangono affascinanti anche d’inverno. E non solo per i frutti che fan la gioia (e la salvezza) degli uccelletti insettivori più vari o per le cortecce che si colorano e fessurano e sulle quali gli inglesi da decenni provano, bontà loro, a sensibilizzarci. Gli alberi, come d’altronde gli arbusti, possono attrarre anche per l’intricato portamento dei rami o addirittura per le loro gemme.
Certo, ci vuole un buono spirito di osservazione: i più, gli alberi spogli, neanche li guardano, almeno qui in Italia, e la apparente desolazione dei nostri giardini giustifica spesso un letargo dei sensi che dura fino ai vistosi shows primaverili. Invece è proprio questa la stagione dei dettagli, che può servire per mettere alla prova l’autenticità di ogni afflato giardiniero. La bellezza del giardino d’inverno è rarefatta, nascosta, talvolta anche ostica, e si rivela nelle piccole cose, forse non stupefà, ma di certo riesce ad affascinare i più pazienti ed appassionati...
Qui al Bramafam la gara del vedi-non-vedi è vinta ogni anno dalle grosse gemme del Sorbus sargentiana, cerose, lucenti, magnifiche, rivelatrici di una vita che si muove e si manifesta anche quando tutto sembra fermo. Assomigliano a quelle dell’ippocastano, di un rosso bruno, come di lacca, e crescono veloci, gonfiandosi settimana dopo settimana. Anche la chioma di questo piccolo albero, lento nella crescita ed equilibrato nella forma (il mio è qui da una ventina d’anni e raggiunge sì e no i quattro metri), ha una sua particolarità. Ogni getto crea un callo così profondo da rimanere visibile per anni ed anni e da rallentarne parecchio le dimensioni. Qualcosa di simile a quello che capita con alcuni alberi da frutto, i meli in particolare.
Non si pensi, però, che il sorbo di Sargent raggiunga il suo meglio d’inverno, tutt’altro: riesce a sorprendere in ogni stagione ed è una delle specie di sorbo più belle, con foglie e corimbi di fiori e di frutti tra i più grandi. Un albero perfetto, là dove le piccole dimensioni del giardino costringano purtroppo ad una scelta. Proviene dalle montagne del Sichuan e del Nord dello Yunnan, da quelle terre così care all’abate David e a tutti i cacciatori di piante. E fu in una spericolata spedizione alla ricerca del celebre albero dei fazzoletti che Ernest Henry Wilson trovò agli inizi del Novecento il Sorbus sargentiana. Di nascita inglese, storico e prolificissimo «plant hunter» per i Kew Gardens di Londra, cominciò una collaborazione con l’Arnold Arboretum di Boston, che era stato iniziato per volere dell’Università di Harvard.
Direttore dell’arboretum era Charles Sprague Sargent, il grande conoscitore di alberi e colui che per primo si batté per la creazione degli immensi parchi naturali americani, fautore ante-litteram di una «wilderness» che ricordava i tempi dei primi coloni e non ammetteva alcun compromesso con l’economia umana. Tra i due nacque una profonda amicizia e un lungo lavoro insieme, tant’è che Wilson decise di dedicargli il sorbo da lui scoperto.
Con foglie pinnate lunghe anche 15 centimetri, di un verde più scuro di quelle degli altri sorbi, argentee nella pagina inferiore, il Sorbus sargentiana raggiunge il culmine all’inizio dell’autunno con tinte dapprima color ambra e poi, piogge permettendo, rosso fuoco. Non meno eclatanti sono le bianche fioriture di inizio estate, con pizzi elaboratissimi amati dalle api e con i vistosi grappoli di bacche arancioni, piccole ma numerose: grappoli allegri e ridondanti. Un vero susseguirsi di colpi di scena botanici! Maturano all’inizio dell’autunno e gli uccelli li fan fuori in men che non si dica, pur essendo quel periodo ancora ricchissimo di alternative: deve trattarsi di una vera primizia.
Come tutti i sorbi è una pianta di bocca buona, che preferisce un clima fresco e una certa altitudine, e si accontenta di qualsiasi terreno (forse con l’eccezione di quello gessoso), purché mediamente umido e ben drenato. Qui da me non è nella posizione più felice, costretto tra la chioma ben più alta delle davidie e quella scura e coprente della Magnolia delavayi. Piante che sono cresciute in modo veloce ed esuberante, oltre le aspettative. Un’esposizione in pieno sole riuscirebbe di sicuro a garantire il migliore dei display.