Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  dicembre 29 Venerdì calendario

Tillerson decima la diplomazia con tagli fino al 50%

Una “taglia” da venticinquemila dollari sulla testa dei diplomatici americani. È il simbolo dello svuotamento del soft power nell’era di Donald Trump e del suo travagliato Segretario di Stato, Rex Tillerson. Ufficialmente ha l’obiettivo di incentivare uscita o pensionamento entro il prossimo ottobre di almeno duemila alti funzionari di Foggy Bottom, il ministero degli Esteri di Washington. Ma, associata a ondate di licenziamenti, emarginazioni e mancate nomine, sembra una vera e propria caccia al diplomatico.
Tillerson, nonostante i rapporti tesi con Trump che lo vedono sfiduciato e dimissionario a giorni alterni, su un obiettivo è in completa sincronia con il presidente: decimare i ranghi del Dipartimento di Stato in nome dell’efficienza. Fin dai primi giorni al governo aveva preannunciato tagli del 31% del budget del ministero. Per guidare la riorganizzazione all’insegna dei tagli si è fatto aiutare da due società di consulenza.
Solo una decina delle 44 principali poltrone al comando della diplomazia ha trovato candidati approvati ed entrati in servizio. Mentre il 60% dei diplomatici di carriera più in vista ha ormai appeso al chiodo la sua missione. La spirale ha travolto la maggior parte degli alti diplomatici di origine ispanica e afroamericana e numerose donne, in un ministero che già fatica a coltivare la diversità. Al vertice, ambasciatori e funzionari con gradi equivalenti a generali a tre o quattro stelle a inizio dicembre erano ormai ridotti della metà, 19 da 39. I 431 consiglieri a “due stelle” sono diminuiti del 18%. E le stesse domande di ammissione a Foggy Bottom si sono dimezzate rispetto alle 17mila del 2015.
A tirare le somme è stata l’American Foreign Service Association (associazione dei professionisti della diplomazia). Durante una recente visita in Europa Tillerson è stato costretto a difendersi: «Il Dipartimento di Stato non sta perdendo colpi», ha detto agli alleati. Il timore cresce visto che Washington ha sposato una dottrina nazionalista nella sicurezza nazionale e nella politica commerciale che tiene sulle spine gli alleati come gli avversari, Cina e Russia, e minaccia di relegare la diplomazia a un ruolo ancillare.
Lo strappo ai danni del suo stesso ministero ha anche una data: la scorsa primavera anche se fin dal primo giorno di lavoro Tillerson aveva promesso un congelamento delle assunzioni e l’eliminazione dell’8% dei 25mila dipendenti. Una formula che fece poco per ingraziarsi ranghi diplomatici dove già serpeggiava un “dissent cable”, una sorta di mozione di sfiducia, firmata da oltre mille diplomatici che mettevano in guardia dalla retorica aggressiva e isolazionista dell’amministrazione Trump. Ma è stato verso metà anno che si spense definitivamente il sospiro di sollievo per l’arrivo di un uomo d’affari considerato quantomeno di vasta esperienza globale, tramutato in un coro di critiche su una leadership incompetente e arrogante. Fino a una lettera inviata dalla minoranza democratica al Congresso che lamentava il vero e proprio esodo di cento diplomatici senior. Voci di denuncia si sono levate anche da qualche scranno repubblicano: il senatore dell’Arizona John McCain ha parlato di «indebolimento della diplomazia mentre le crisi globali si fanno più complesse».
In qualche caso Tillerson ha consumato ritorsioni che hanno fatto scalpore: due diplomatici sono stati cacciati solo per aver risposto a richieste di informazioni dell’ambasciatore all’Onu Nikki Haley, invisa a Tillerson perché sua potenziale rivale. I suoi due predecessori a Foggy Bottom non erano tra i più amati: i democratici John Kerry e Hillary Clinton sono stati considerati personaggi con proprie agende e in cerca di autopromozione. Ma i paragoni che lo condannano sono altri: quelli con statisti repubblicani talvolta controversi ma del calibro di George Schultz, Colin Powell e James Baker. La sentenza più dura è arrivata da un anomimo transfuga da Foggy Bottom: «Prima o poi, forse troppo tardi, Tillerson e Trump scopriranno che sono loro ad aver bisogno di noi».