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 2017  dicembre 29 Venerdì calendario

Trump cerca fondi per strade e ponti

Dopo il colpo d’ala della riforma fiscale Donald Trump cercherà il raddoppio già all’inizio del 2018: a gennaio lancerà il progetto di investimenti infrastrutturali per ricostruire «strade, ponti, aeroporti dell’America intera».
Così, superati il pacchetto di stimoli post crisi 2007-2009 e la riforma delle tasse del 2017, gli Stati Uniti si preparano al terzo giro di boa di stimoli fiscali. È una continuità di politiche per la crescita questa che non possiamo ignorare. Da questa parte dell’Atlantico non si perde un attimo. Colpisce che queste manovre di stimolo giungano quando la ripresa economica Usa ha già superato la sua fase matura. Una lezione non solo economica ma anche politica, perché il paradigma che mette la crescita prima dell’austerità o meglio la crescita come strumento per rimettere ordine nei conti pubblici è un elemento comune ai due partiti. E così facendo l’America si prepara a stabilire entro i prossimi 18 mesi un record, il più lungo periodo di crescita economica della sua storia. Cosa che ha già avuto riflessi in borsa: questo 2017 si chiuderà con un aumento dell’indice Dow Jones superiore al 25 per cento.
Il percorso di Trump per portare a casa mille miliardi di investimenti infrastrutturali su base decennale non sarà però facile. La riforma fiscale ha ridotto le possibilità di deduzioni statali e su certe emissioni obbligazionarie private per gli investimenti. E già nel suo bilancio per l’anno fiscale in corso Trump ha di fatto ridotto i 200 miliardi di dollari da destinare agli investimenti infrastrutturali sui cui i privati avrebbero aggiunto gli altri 800 miliardi: sono stati tagliati 55 miliardi di dollari in allocazioni per aeroporti rurali, condotte d’acqua per le riserve popolate dagli indiani d’America e programmi di ripavimentazione di molte autostrade, riducendo di fatto il netto disponibile. Ed ecco il primo ostacolo: oggi i privati sono molto restii a partecipare al progetto in mancanza di garanzie adeguate.
Trump ha già concesso facilitazioni sulle regole ambientali per accelerare la concessioni dei permessi per lanciare i singoli progetti e resta valida la possibilità di mantenere la proprietà e la gestione ad esempio di ponti e autostrade che potranno generare grazie ai pedaggi ritorni di capitale molto interessanti nel medio lungo termine. Ma è qui che si inserisce l’ostacolo politico. Se i democratici sono d’accordo sulla necessità di procedere con investimenti infrastrutturali e dunque con politiche di stimolo dell’economia, hanno un’agenda diversa. Sono contrari a penalizzare i consumatori e vogliono un intervento diretto dello Stato. Il loro progetto di legge chiede di allocare 500 miliardi di dollari su base decennale e di limitare il ruolo dei privati. Progetto più realistico e diverso ideologicamente, ma è ovviamente importante che ci sia una convergenza di fondo sull’obiettivo finale: mettere a posto le infrastrutture. Trump sa di aver bisogno dei democratici. Per passare al Senato il suo progetto – o qualunque progetto – avrà bisogno di 60 voti e oggi i repubblicani hanno solo 51 voti contro i 49 democratici. Per questo il presidente ha già chiesto ai democratici di lavorare insieme in uno sforzo bipartisan senza precedenti.
È possibile, ma improbabile che alcuni senatori in corsa per la rielezioni in Stati vinti da Trump si schierino con la Casa Bianca per ragioni elettorali. Ma per i democratici in genere non vi è alcun interesse a rafforzare un presidente debole, con il 35% di gradimento nei sondaggi, avviato verso una possibile sconfitta alle elezioni di novembre concedendogli una vittoria politica bipartisan. Ma Trump non molla. Ha già convocato a Camp David Mitch McConnel capo della maggioranza al Senato e Paul Ryan, presidente della Camera per il fine settimana del 9 gennaio. Con loro vuole assicurarsi che non ci siano resistenze da parte dei conservatori fiscali del partito. La combinazione dei tagli fiscali più le possibili spese infrastrutturali espone infatti il Paese a un forte aumento del debito. Ecco perché nel 2018 saranno le infrastrutture a passare al centro del dibattito economico. Difficile un accordo a breve ma la questione sarà soltanto rimandata a dopo le elezioni.