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 2017  dicembre 29 Venerdì calendario

Nicola, autista spaziale: «Così porterò i turisti a 100 km dalla Terra»

«Nicola, corri, ne sta passando un altro». Il bambino scatta e si precipita in giardino, appena in tempo per veder scomparire tra le nuvole la coda di un DC9. A quell’età Nicola Pecile aveva già scelto. Oggi, a 44 anni, è uno dei sette piloti collaudatori/sperimentatori della Virgin Galactic, la compagnia di Richard Branson che ha come obiettivo di mandare nello spazio i primi passeggeri paganti a bordo di un veicolo suborbitale, lo SpaceShip Two. Dovrebbe diventare un volo di routine, come un Roma-New York o giù di lì. Pecile è il pilota più giovane del team, l’unico italiano. «Potremmo essere pronti tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019. In circa 700 hanno già acquistato il biglietto per partire. Ci aspettiamo decine o centinaia di richieste nel prossimo futuro se riusciremo a dimostrare che certe tipologie di voli possono essere condotte in totale sicurezza. Potrò considerarmene uno dei pionieri», racconta in una pausa del congresso mondiale di medicina aerospaziale che si è svolto al Centro nazionale ricerche a Roma. È serio e compunto mentre scende nei dettagli tecnici della storica avventura spaziale. Cambia espressione e si rilassa quando ritorna ai giorni di Fagagna, provincia di Udine, dove è cresciuto. Lo scandisce il nome, Fa-ga-gna rivendicando le origini friulane: «Sono cresciuto in un ambiente sano e semplice, la mia famiglia mi ha inculcato valori forti e solidi. Mia moglie è di Villalta, piccola frazione di Fagagna. Non sono andato lontano per trovarla. Ora lavoro a Mojave, nel deserto californiano. Mio figlio? Ha 17 anni e vuole fare il medico. Per lui è normale avere un papà pilota e non sogna lo stesso futuro».
Da bambino aveva la testa tra le nuvole, gli occhi fissi al cielo, restava affascinato da tutto ciò che volava: «A 4 anni ero pazzo per i modellini di aerei, restavo incollato alla tv per non perdere i film di fantascienza. Passione che mi riempiva l’anima. Finite le superiori, sono entrato in Accademia aeronautica, fino a diventare pilota collaudatore. Ho esperienza su oltre 145 velivoli. Ero tenente colonnello quando nel 2011 scelsi di iscrivermi a una scuola di collaudo in California. Avevo la carriera spalancata, sarei diventato generale a tre stelle. Ho scelto quello per cui impazzivo fin da ragazzino».
In California ha avuto i primi contatti con Virgin dove è entrato nel 2015, affascinato dal progetto SpaceShip Two, il veicolo costruito per andare in orbita. I clienti non sono passeggeri ma «partecipanti» al volo: «Non avranno un ruolo passivo, saranno essi stessi sperimentatori non professionisti. Alcuni lo fanno per snobismo, vogliono infiorare il curriculum con qualcosa di eccezionale. La maggior parte però ci crede davvero. Desiderano provare l’emozione di vedere la Terra da 100 chilometri di altezza. Qualcuno di loro mi ha detto che per non perdere lo spettacolo e farsi distrarre dal galleggiamento in assenza di forza di gravità non si sgancerà dai sedili».
Il viaggio a bordo avrà il seguente profilo. Da 4 a 6 partecipanti, a seconda del peso, e due piloti. Lo SpaceShip Two verrà portato in quota dal WhiteNight Two. Un’ora per salire, due minuti in suborbita, mezz’ora per scendere. I passeggeri devono essere addestrati, ma l’incognita resta la tenuta psicologica. Per quanti test puoi superare, non si può prevedere la reazione a caldo. Se i piloti dovessero assistere a scene di panico possono rientrare alla base. Un biglietto costa 250 mila dollari. Troppo? Pecile scuote la testa. «Negli anni Trenta i benestanti per la trasvolata atlantica ne spendevano 13 mila, equivalenti alla cifra odierna. Oggi un’andata e ritorno per gli Usa costa anche 500 dollari. Succederà anche per la destinazione spazio».