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 2017  dicembre 29 Venerdì calendario

Si vota il 4 marzo

Si pensava che quello di ieri sarebbe stato l’ultimo consiglio dei ministri della legislatura, ed è certamente così perché Mattarella ha sciolto le camere proprio ieri. Però non è di sicuro l’ultimo consiglio dei ministri del premier Gentiloni, dato che, per esempio, il cdm di ieri pomeriggio non ha trattato la questione delle missioni italiane all’estero, argomento inevitabile anche per via di accordi internazionali che non possono essere smentiti.  

Se non ha detto nulla sulle missioni italiane all’estero, di che cosa si è occupato?
Ha fissato la data delle elezioni politiche al 4 marzo, cioè tra una sessantina di giorni. Ieri cioè si sono perfezionati i due atti istituzionali di cui avevamo già parlato l’altro giorno. Mattarella, con un decreto presidenziale, ha sciolto le camere e Gentiloni è salito al Quirinale per controfirmare l’atto. Poi il consiglio dei ministri ha sancito la data delle elezioni al 4 marzo e Mattarella ha a sua volta controfirmato anche questo provvedimento. Si tratta di adempimenti ricchi di significato politico. In primo luogo il fatto, insolito, che Gentiloni non si sia dimesso, venendo così incontro persino ai desideri di Berlusconi, il quale qualche giorno fa ha auspicato che, in caso di stallo politico dopo il voto (situazione che tutti prevedono), resti al lavoro l’attuale premier con questo esecutivo. Ma anche la data del 4 marzo ha un suo senso.  

Beh, che altra data si sarebbe potuta scegliere?
No, in teoria la legislatura poteva andare avanti un altro paio di mesi e, magari, permettere al parlamento di varare lo ius soli. Ma in questo modo si sarebbe votato a fine maggio o ai primi di giugno e, sempre nel caso dello stallo, Mattarella non avrebbe potuto convocare un nuovo turno elettorale. Facendo passare l’estate si sarebbe incappati nel problema della legge di bilancio, impossibile da rinviare. E si sarebbe finiti al 2019. Il 4 marzo gli eletti in parlamento si troveranno invece di fronte alla prospettiva sgradevole di essere rimandati a casa se non riusciranno a dar vita a una maggioranza e a un esecutivo minimamente stabile. Una bella arma di pressione del capo dello stato sui gruppi parlamentari, i partiti e i loro leader.  

Gentiloni ieri mattina ha anche tenuto la tradizionale conferenza stampa di fine d’anno.
Tutto molto tranquillo, a parte una frase su cui si stanno scervellando gli analisti del Nord e del Sud: «In Italia c’è una sinistra di governo a disposizione del Paese. E si è visto in questa travagliata legislatura, nel governo Letta, nel governo Renzi ed in quello da me presieduto». Gli analisti, campioni di malizia, vedono nella citazione di Enrico Letta il segno del distacco del premier dal segretario. Può essere un’esagerazione. Ma forse no: i sondaggi vedono il Pd di Renzi sotto il 23%, dunque destinato, se la campagna elettorale non cambierà il verso di queste profezie, a una rottamazione pressoché definitiva. I vivi con i vivi e i morti con i morti, diceva qualcuno. In politica è la regola, anche se si è cominciato a governare con la definizione di «fotocopia». Del resto un primo strappo Gentiloni l’ha consumato con la vicenda Visco, lasciato al vertice di Bankitalia nonostante le raffiche del segretario.  

Tutta qui la conferenza stampa?
«Farò campagna elettorale per il Pd, forza tranquilla, e il mio governo non tirerà i remi in barca fino alla fine. La legislatura è stata fruttuosa. L’Italia si è rimessa in moto dopo la più grave crisi del dopoguerra. L’Italia è nell’export uno dei quattro-cinque maggiori player al mondo. E come si dice a Roma “nun ce se crede”», cioè una simpatica e sorprendente, in un uomo tanto compassato, conclusione in vernacolo.  

Come la mettiamo con la faccenda del Niger?
Consiglio dei ministri e parlamento dovranno semplicemente ratificare accordi raggiunti a Celle Saint-Cloud. Manderemo in Niger, a scaglioni nel corso di tutto il 2018, 470 soldati, forniti di 120 mezzi e due aerei. Il loro compito sarà quello di addestrare le truppe nigerine. I problemi laggiù sono due: passa dal Niger il grande flusso di migranti che tenta di raggiungere la Libia per imbarcarsi verso le nostre coste; al confine settentrionale, quello con il Sahel, operano alla grande jihadisti che trafficano in armi, droga e esseri umani. Si tratta di un quadrante molto delicato per via della presenza francese, che tiene laggiù quattromila uomini e ne richiamerà qualcuno grazie alla presenza nostra e di contingenti di altre nazioni. I francesi vorranno comunque mantenere, in Niger, un primato decisionale, tra l’altro perché da qui ricavano l’uranio con cui alimentano le loro centrali nucleari. Insieme con l’invio di truppe in Niger, è stato deciso (ma dovrà essere ratificato dal governo) di dimezzare la nostra presenza in Iraq e di mantenere inalterati i nostri contingenti in Libano, Afghanistan e Libia. Faccende delicate, in questi tre scacchieri operano tre diverse coalizioni (Nato, Onu e Ue) spesso sovrapponendosi.