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 2017  dicembre 28 Giovedì calendario

Una giornata alle terme con gli antichi romani

Finalmente si può andare alle terme come un antico romano e capire quanto le Spa di oggi, anche le più esclusive, siano solo l’inadeguato ricordo di un raffinatissimo modo di coccolarsi. Da pochi giorni i visitatori delle Terme di Caracalla a Roma hanno la possibilità di usare un visore a tre dimensioni che mostra loro gli ambienti in rovina com’erano all’inaugurazione nel 216 d.C., quando erano affollati da romani che parlavano sottovoce di come non se ne potesse più di quell’imperatore crudele e dispotico, che comunque qualcosa di buono e sfolgorante l’aveva fatto: le terme.
Luogo magico
Caracalla è un luogo magico che sembra quasi non appartenere a Roma: per terra non ci sono pezzi di carta e resti di panini, le aiuole sono ben rasate e prive di erbacce, le toilette sembrano quelle di un grand hotel, il personale è gentile e premuroso. Qui per tre secoli, fino a quando nel 537 il re Vitige non tagliò – da barbaro ostrogoto qual era – tutti gli acquedotti della città, si sono ritrovati ogni giorno circa 800 romani. Parlavano di politica e del più e del meno, facevano un bagno nella natatio o si rinfrescavano nel frigidarium, oppure si riscaldavano nel calidarium prima dei massaggi. Chiacchieravano e giocavano a una specie di minigolf, facevano ginnastica, si depilavano, leggevano testi in greco e latino custoditi nelle due biblioteche, e magari mangiavano qualcosa in una delle tabernae del giardino. Poi controllavano che nello spogliatoio nessuno avesse rubato loro qualcosa, si rivestivano e facevano due passi sotto i portici prima di imboccare l’Appia o la Via Nova che li avrebbero riportati a casa.
Niente di strano, oggi lo facciamo anche noi. Ma se l’imponenza delle rovine delle Terme di Caracalla vale da sola la visita (ha torri alte più di 30 metri, come un palazzo di 10 piani), vederne anche la rappresentazione in 3D toglie davvero il fiato. Le due palestre dovrebbero essere chiamate in un altro modo, perché in qualunque palazzo reale europeo sarebbero considerate grandi sale da ballo o di rappresentanza. I pavimenti di marmo, le alte colonne, la luce naturale che si diffondeva morbidamente all’interno, le bellissime e imponenti statue, come il Toro Farnese che ora si trova al Museo Archeologico di Napoli, ne facevano davvero un luogo di sublime bellezza.
La piscina
Lo stesso vale per la natatio, la grande piscina scoperta della quale resta un avvallamento nel terreno, ma che ora si può ammirare com’era, con l’acqua che rifletteva le pareti di marmo colorato e le colonne dai grandiosi capitelli. Possiamo vedere dov’erano le due grandi vasche che ora si trovano in piazza Farnese o la vasca di porfido rosso che oggi è a Napoli, e immaginare la gente che affollava le sale, magari anche sentire il dolente rumore che veniva dai tre piani di sotterranei, nei quali centinaia di schiavi bruciavano 10 tonnellate di legna al giorno per riscaldare l’acqua e gli ambienti.
Come ricorda Lucio Anneo Seneca nella rappresentazione in 3D, le terme romane erano un luogo piuttosto rumoroso. Lui abitava nei pressi di uno stabilimento, ed era peggio che abitare oggi sopra a una discoteca: «Se poi arrivano quelli che giocano a palla», ha scritto il filosofo, «e cominciano a contare i tiri, allora è proprio finita. Aggiungici l’attaccabrighe, il ladro colto in flagrante, quello che canta mentre fa il bagno, quelli che si tuffano con un fracasso tremendo. Pensa all’estetista che per farsi notare parla con la vocina stridula, e sta zitto solo quando strappa i peli costringendo l’altro a gridare al posto suo. Poi ci sono le urla del pasticciere, del salsicciaio e di tutti gli esercenti delle taverne, ognuno dei quali modula diversamente la propria voce».
La tecnologia 3D è utilizzata in molte applicazioni, dai videogiochi al cinema, ma il semplice apparecchio che ha uno smartphone chiuso in un visore, realizzato con il progetto curato dal soprintendente per l’area archeologica di Roma Francesco Prosperetti, da Francesco Antinucci del Cnr e da Francesco Cochetti di CoopCulture, dovrebbe poter essere reso disponibile per ogni monumento antico andato in rovina, e a Roma non ne mancano proprio. «La ricostruzione degli ambienti che ho realizzato», dice la responsabile del progetto e direttrice dell’area archeologica, Marina Piranomonte, «è il frutto di 30 anni di studi: conosco ormai Caracalla più della mia casa. Di aiuto sono stati anche gli scritti di Antonio da Sangallo, che prelevò dalle terme arredi per i palazzi dei Farnese, e le cronache degli scavi partiti nel 1545, nelle quali si parlava con meraviglia delle gigantesche statue ritrovate, delle colonne e delle vasche che oggi sono in molte chiese, piazze e musei italiani».
L’ultima colonna
Dopo che Vitige tagliò l’acqua a Roma, le terme andarono in rovina e furono usate come cava di materiali edili: più che il tempo, è stato l’uomo a devastarle. L’ultima colonna se ne andò nel 1563, regalata da papa Pio IV a Cosimo de’ Medici, che la innalzò per onorare la Giustizia in piazza Santa Trinita a Firenze. Pesava 50 tonnellate e fu trasportata da Roma alla costa alla velocità di 120 metri al giorno. Sul suo capitello, anni più tardi, fu trovato un tesoro di perle e pietre preziose, che non appartenevano però a un antico romano, ma a una gazza ladra che le rubava dalle bancarelle del Ponte Vecchio.