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 2017  dicembre 28 Giovedì calendario

La rivoluzione delle tasse. Anche i sauditi scoprono l’Iva

C’erano una volta i Paesi dove ancora non si pagavano le tasse: erano quelli dove il petrolio garantiva allo Stato rendite elevate e la possibilità di distribuire ricchezza e sussidi energetici alla popolazione. Poi, nel 2014, il prezzo del greggio al barile è crollato per non riprendersi più, obbligando persino i ricchi potentati del Golfo a rivedere le proprie abitudini fiscali e persino la struttura delle loro economie.
Così, dal primo gennaio in Arabia Saudita e negli Emirati arabi sbarca l’imposta sul valore aggiunto, quell’Iva che l’Europa conosce da tempo immemore. E benché si tratti di una tassa del 5 per cento su una serie limitata di beni e servizi, niente a che vedere con l’oltre 20 per cento del resto del mondo, per il Golfo si tratta di una rivoluzione sociale, che racconta l’avvio di un nuovo corso nella regione.
Per decenni, l’Arabia Saudita e soprattutto gli Emirati hanno attirato lavoratori stranieri proprio a causa dell’inesistenza di tassazione. Ora, secondo quanto riportato dal giornale di Abu Dhabi «the National», il già caro costo della vita negli Emirati potrebbe salire nel 2018 del 2,5 per cento: qui l’Iva toccherà la vendita di abbigliamento, di cibo, di materiale tecnologico ed elettronico, quello di bibite, persino dell’acqua, sarà imposta sulle prenotazioni alberghiere, su alcuni servizi di telefonia. I genitori con figli a scuola saranno per la prima volta costretti a pagare un 5 per cento in più sui libri, le uniformi, i trasporti. In questo modo, gli emiri della Federazione mirano a raccogliere in un anno oltre tre miliardi di dollari, mentre l’Arabia Saudita punta a sei miliardi di dollari nel 2018. Nel regno, a giugno era già stata introdotta una tassa su tabacco e bevande.
Il Paese è nel mezzo di un’era di trasformazioni e turbolenze che hanno all’origine l’azione spesso dirompente del giovane e ambizioso principe ereditario Mohammed bin Salman. È lui ad aver lanciato nel 2016 il piano Vision 2030, un progetto di ristrutturazione dell’economia nazionale per sganciare l’Arabia Saudita dalla dipendenza dal petrolio: il settore energetico rappresenta oggi circa il 42% del Pil nazionale. Ed è lui ad aver presentato pochi giorni fa il più vasto bilancio della storia del regno, che prevede 261 miliardi di dollari di spesa, secondo molti analisti da dedicare alla creazione di infrastrutture e strutture per trasformare l’economia e staccarla per sempre dal greggio. Il deficit di bilancio saudita è ancora importante, la previsione è di 52 miliardi di dollari. Lo stesso Fondo monetario internazionale ha consigliato a Riad e ai vicini dopo il crollo del prezzo del petrolio l’imposizione di tasse.
Altri Paesi fuori dal Golfo si sono trovati in una situazione simile. L’Algeria, che si è abbandonata per anni alla dipendenza dalle rendite energetiche – con cui ha anche sapientemente comprato la pace sociale in cambio di massicci sussidi economici alla popolazione – è alle prese con un minor afflusso di contante nelle proprie casse. Sono così arrivate anche lì inedite imposte su benzina, gasolio, tabacco, mentre aumenta il malcontento sociale assieme ai prezzi del cibo nei mercati.