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 2017  dicembre 28 Giovedì calendario

Usa, la violenza degli Antifa per combattere i suprematisti

Il movimento del nazionalismo bianco, rilanciato con forza sulla scena politica americana in corrispondenza con la campagna presidenziale di Donald Trump, ha generato la sua nemesi. Un movimento Antifa, cioè antifascista, pronto ad usare gli stessi metodi violenti degli avversari della destra alternativa, Alt-right, contro cui sta conducendo la sua «resistenza». Il risultato, qualunque sia l’opinione che ognuno ha su queste due forze opposte e drammaticamente uguali, è che l’America rischia di scivolare sempre di più verso una spaccatura che sconfina nel tribalismo, e davvero minaccia di esporla alla decadenza.
Durante le presidenziali la destra estrema, razzista e suprematista, non aveva fatto mistero di sostenere Trump. E lui aveva fatto il possibile per non perdere i suoi voti, ad esempio quando aveva detto di non poter prendere le distanze dal neonazi David Duke perché non conosceva bene le sue posizioni, salvo poi ravvedersi. La Alt-right, corteggiata dal consigliere Bannon, si era sentita incoraggiata dalla sua vittoria. E a Charlottesville aveva ucciso un avversario, durante un fine settimana di proteste in cui aveva acceso le torce dei linciaggi del Ku Klux Klan, e contestando la rimozione della statua del generale sudista Lee aveva gridato che «gli ebrei non ci rimuoveranno».
Sull’altro fronte, questa offensiva ha generato un movimento opposto e uguale, che M. Scott Mahaskey ha documentato con un fotoreportage pubblicato dal sito Politico. Mahaskey è andato alle proteste degli Antifa, dimostrando che ormai usano gli stessi metodi dei nazionalisti bianchi: «Vogliono reprimere con la forza ogni forma di promozione dell’odio», gli ha detto il professore di Dartmouth Mark ray che li studia. E pazienza per il Primo emendamento della Costituzione, che in teoria garantirebbe anche ai neonazi il diritto di esprimersi. Scott lo ha provato scattando foto a Berkeley, mentre gli Antifa colpivano un sostenitore di Trump con un cartello dove c’era scritto «No Hate», no all’odio. Solo l’intervento del giornalista radio Al Letson, che si era gettato sul corpo della vittima per fargli scudo, aveva evitato il peggio. L’Fbi, secondo Mahaskey, è molto preoccupata da questa dinamica, e si aspetta un’esplosione di scontri violenti durante il 2018, perché i nazionalisti bianchi hanno in programma una serie di manifestazioni, e gli Antifa hanno promesso di andare a tutti questi eventi per contrastarli.
Ci sarebbe da discutere se neonazi e antifascisti possono essere messi sullo stesso piano morale, ma il problema è più grande della loro rivalità, e riguarda la spaccatura culturale che ormai affligge l’America da trent’anni. L’inizio di questa dinamica si può far risalire all’elezione di Bill Clinton nel 1992, che fu rifiutata dai repubblicani. In passato c’erano stati scontri politici duri, ma una volta eletto un presidente si accettava, e si faceva almeno il tentativo di trovare punti di contatto bipartisan, tipo Reagan con lo speaker democratico della Camera O’Neill. Con Clinton questo è cambiato, forse perché dietro c’era una spaccatura culturale su temi considerati non negoziabili, come quelli della vita o della fede religiosa. La situazione era peggiorata con Bush, mentre dopo l’elezione di Obama l’attuale leader repubblicano al Senato, McConnell, aveva detto che la sua missione era farlo fallire a ogni costo.
Trump non ha nemmeno provato a diventare il presidente di tutti gli americani, perché non pensa di poter attirare voti fuori dalla sua base. Questa strategia ha funzionato bene nelle elezioni del 2016, e lui si prepara a ripeterla nel 2020. È un leader «consequential», cioè sta cambiando il Paese, ma solo realizzando i desideri dei propri sostenitori. Se i tagli alle tasse o la crescita economica gli consentiranno di allargare il numero dei suoi elettori, bene; sennò punterà a rivincere con la stessa coalizione del 2016. Il problema è che governando in maniera così partisan accentua la spaccatura tribale dell’America, che sta diventando la vera emergenza e l’ombra sul suo futuro.