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 2017  dicembre 28 Giovedì calendario

La cassaforte digitale per i ricordi di una vita

TORINO C’è la cassaforte, dove nascondere le password. C’è il baule, dove ficcare le cose che forse non servono, ma intanto stanno lì. Tutto blindato, infatti il simbolo è un lucchetto. C’è chi ha inventato un modo per selezionare e conservare la memoria della propria vita, e metterla al sicuro, a disposizione dei posteri, se vorremo. Come il Pensatoio dei ricordi, per chi frequenta Harry Potter. Ma invece di essere un bacile fumante, è un Cloud blindato. Tutto parte dalla constatazione che «sul web si fanno molto in fretta cose molto stupide, come chattare su cose irrilevanti, o scambiarsi foto del proprio sedere», ma la nostra vera memoria, quella va persa, annegata in milioni di dati, una massa enorme che ci trasciniamo dietro come «un carapace digitale», ma pesante. Foto, video, documenti, quasi tutto inutile. Pietro Jarre è un ingegnere torinese di 61 anni, ha fondato eMemory, piattaforma digitale dove con poche decine di euro ci si può creare una “casa” sicura, «a prova di profilazione», dove nessuno può mettere il naso, e quindi curiosare tra le nostre abitudini, vedere cosa stiamo comprando, i siti che frequentiamo, il nostro privato. Per fare questo bisogna scegliere e buttare molto, il che è utile ed ecologico. Esempio: i nostri nonni ci hanno lasciato una manciata di fotografie, i genitori un centinaio. Noi – adulti di oggi – dovremmo lasciarne alcune migliaia. Magari. Un baby boomer – quando morirà – lascerà un’eredità «pari a 5/10 terabyte, per lo più spazzatura». Quindi tocca fare come il mago Silente spiega a Harry Potter: «Basta travasare i pensieri in eccesso dalla propria mente, versarli nel bacile e esaminarli a piacere. Diventa più facile riconoscere trame e collegamenti, sai, quando assumono questa forma». L’ha fatto Alessandro Macagno, 24 anni, che assieme ad Alberto Trivero, 30, lavora con Jarre in questa cooperativa user owned, cioè a proprietà diffusa (partita con tre soci, oggi sono trenta): «Io, che non sono un nativo digitale, ho già accumulato su Google Foto circa 70mila immagini, ma ne ho scelte 527». Il triciclo, la laurea, pezzi di sé. Per Jarre i giovani «hanno bisogno di storie, perché così definiscono la propria identità». E come si fa, a ricostruire una memoria di sé? «Conservando le storie che contano, archiviando solo foto importanti, scrivendo un libro o un diario. L’importante è tenere i dati fertili». Alla base di tutto sta una considerazione amara: nel fantastico mondo del web «di fatto siamo in una gabbia dei criceti, dove ci fanno giocare, e intanto spiano i nostri comportamenti». Le opportunità di Internet, nato come strumento di democrazia, progresso e innovazione, si sono via via perse sulla strada della commercializzazione spinta, dove noi siamo poco più che criceti sulla ruota, quindi tocca «decidere il proprio destino, che è per forza digitale, e decidere cosa salvare». In concreto, una chiavetta, che tieni in tasca o in banca, come anni fa era un floppy e in futuro chissà cosa. In epoca di fake news, può rassicurare il fatto che ci sia una “casa” sicura dove le nostre informazioni non possono essere toccate, infatti tra i primi utenti del servizio ci sono alcune banche, che lo offrono ai propri clienti, e uomini politici. Tre livelli, di cui uno pubblico per poter condividere quello che si vuole con gli altri utenti della piattaforma. Un secondo confidenziale, di contenuti che possono anche essere lasciati in eredità a chi si vuole, singoli o gruppi. E il terzo, quello privato: cose che nessuno può vedere. Destinate a sparire con l’utente, nel momento della sua morte, una specie di mandato post mortem impegna la società a cancellare tutto. Compreso il profilo Facebook, visto che si calcola ci siano nel mondo 50 milioni di utenti Facebook morti, ma tuttora tragicamente vivi, online.