Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  dicembre 28 Giovedì calendario

Occupy Trump Tower una protesta lunga un anno

Ogni forma di protesta è la benvenuta. Dalla maratona di interventi di scienziati nel giorno della Terra alle performance di un gruppo chiamato Brick x Brick – che in occasione del compleanno di Trump ha indossato abiti con su stampate le sue frasi «più misogine e violente». Fino alle azioni di Reverend Billy and the Stop Shopping Choir, la compagnia teatrale creata dal (finto) reverendo William Talen, 67 anni, e da sua moglie Savitri Durkee, celebre per le performance politiche in giro per il mondo: «Quando abbiamo scoperto lo spazio pubblico della Tower abbiamo deciso di usarlo come palcoscenico». Ogni volta un’azione diversa. «Abbiamo fatto picnic di protesta in giardino: le rivoluzioni non nascono forse da poche persone sedute a tavola? Abbiamo pregato tenendoci per mano per darci conforto in questi tempi difficili. Improvvisato cori su e giù per le scale mobili. E ci siamo inginocchiati all’ingresso sotto il nome Trump scritto a lettere d’oro: in solidarietà con gli atleti che per protesta si inginocchiavano in campo durante l’inno. Quando gli uomini dei servizi segreti si sono avvicinati noi abbiamo invece intonato Hold on: un gospel legato al movimento dei diritti civili. E loro? Sono tornati indietro: è stato il momento più patriottico della mia vita». Il prossimo grande appuntamento è previsto per il 20 gennaio: a un anno dall’insediamento di Trump. Quanta più gente possibile è invitata a riunirsi sulla 5th Avenue «per guardare fisso» recita l’ultima, strana richiesta «il grattacielo». Dalla protesta alla magia: nella speranza di farlo scomparire? «Voliamo più basso: vogliamo solo fargli sapere che siamo ancora qua». © RIPRODUZIONE RISERVATA SERVIZIO FOTOGRAFICO DI MARGHERITA MIRABELLA PER LA REPUBBLICA Dalla nostra inviata NEW YORK «Ho scelto una lettura diversa per ogni gesto compiuto da Donald Trump. I discorsi di Martin Luther King all’indomani del bando antimusulmani. Un passo dal Grande Gatsby letto dopo la firma della riforma fiscale, la settimana scorsa: quello dove Tom Buchanan indulge nell’elencare i suoi privilegi di ricco razzista». Come tutti i venerdì anche domani Jeff Bergman, 39 anni, mercante d’arte, poco prima di mezzogiorno farà passare i libri che ha sottobraccio nel metal detector per piazzarsi al centro dell’androne di marmo della Trump Tower: il grattacielo sulla Fifth Avenue e quartier generale del presidente dove la famiglia ha vissuto fin quando, in autunnno, Melania ha finalmente deciso di raggiungere il marito alla Casa Bianca. È qui che fra uomini dei servizi segreti, portieri in livrea con le iniziali “TT”, Trump Tower, ricamate sulle maniche e curiosi imbacuccati per il gran freddo – ogni venerdì Jeff si schiarisce la voce. L’ultima volta è toccato a L’ottimismo dell’incertezza di Howard Zinn. «Vengo alla Trump Tower da un anno: sì, anche durante le feste. Non mi ero mai considerato un attivista. Ma quando The Donald fu eletto sentii il bisogno di fare qualcosa. Venni qui e iniziai a leggere ad alta voce un libro che, come ebreo, mi è molto caro: Notte di Elie Wiesel. Ricordo che molti si avvicinarono arrabbiati: “Trump farà grandi cose per Israele”. Come se potesse bastare. Da allora di libri ne ho letti almeno duecento. A volte solo. A volte con chi ha scelto di unirsi». Gente come Jeremy Dine, il figlio del maestro pop Jim Dine che il giorno dopo l’udienza in Senato dell’ex capo dell’Fbi James Comey ne ha riletto i passaggi fondamentali. O come Jenna, la bibliotecaria dell’Ohio che riprende con il cellulare le letture per la pagina Facebook del gruppo. «L’abbiamo chiamata “Learn as Protest”, impara come forma di protesta: perché se protestare serve a mettere le cose in luce è nei libri che si trovano le risposte». Le reazioni? «Non ci hanno mai picchiati, per fortuna, ma non mancano insulti e minacce. Anche applausi, va detto, o qualcuno che si avvicina per suggerire una nuova lettura». Un anno dopo la vittoria elettorale sono ancora tanti i gruppi che continuano a incontrarsi qui: per ricordare che la battaglia non è finita. E, soprattutto, che la lotta sarà più creativa che mai. Nessuno può mandarli via. L’atrio, il giardino al quinto piano e i gabinetti ricercatissimi dai turisti, proprio vicino al negozietto di gadget trumpiani, sono spazi pubblici: così vuole l’accordo che The Donald fece con la città di New York negli anni 70 per poter alzare la costruzione di 24 piani più del consentito. E protestare pacificamente in uno spazio pubblico, come già a Zuccotti Park, la piazzetta dove nel 2011 nacque il movimento di Occupy Wall Street, è legale. Proprio dall’esperienza di Zuccotti sono partiti del resto Kyle Depew e Ben Rubin, gli attivisti che gestiscono l’agenda delle proteste attraverso il sito taketrumptower.com. Occupazioni sempre pacifiche: dal teatro a lezioni di yoga intitolate Resistance and Restoration – resistenza e ristoro. È un modo, spiega Rubin, «per ricordare al presidente che noi diciamo no. E lo facciamo a casa sua».