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 2017  dicembre 28 Giovedì calendario

Scoop e dolore la maledizione dei Graham

WASHINGTON Era figlio di un mito troppo grande per lui, per William W. Graham, portatore di una gloria familiare che ebbe nella madre Kay Meyer e nel leggendario giornale di famiglia, il Washington Post, un trionfo che in questa fine dicembre sarebbe diventato il superfilm di Steven Spielberg. Si dice che soffrisse di cuore, che non reggesse più il peso della debolezza, delle umiliazioni che quella sua cardiopatia cronica gli imponeva e per questo, la sera del 20 dicembre, tra le musichette natalizie e la felicità di stagnola imposta dal calendario micidiale per i depressi, abbia avvicinato la rivoltella alla tempia e si sia fatto fuori. Come il padre Philip aveva fatto nel 1963 quando lui, ragazzo di 16 anni, lo aveva trovato con il capo sbriciolato da un fucile a pompa nella penombra della loro magnifica casa della Virginia. Nella “Saga dei Graham”, dei signori del Watergate, torna dunque la maledizione del suicidio. La coincidenza di date fra l’uscita del film di Spielberg, il “Post”, nelle sale a Natale, e la decisione di uccidersi a 69 anni nella casa di Los Angeles può essere naturalmente solo casuale. William, il terzo dei tre maschi e della femmina nati dal padre e da Katherine Meyer Graham, non aveva mai dato i segni dei disturbi psichiatrici manifestati da Philip. Ma in quel clan, che aveva avuto un nonno Presidente della Federal Reserve, la banca centrale, un padre luterano fieramente Repubblicano, una madre ebrea dichiaratamente kennedyana, un’abbondanza di personalità fortissime, William era sempre stato il cucciolo in disparte, fuori dal branco. In quei travolgenti anni ’60, mentre la madre, giovane vedova che il marito aveva messo in disparte, doveva assumersi da un giorno all’altro la responsabilità di possedere un piccolo quotidiano di Washington, il fratello più grande, Donald, rispose al trauma del suicidio paterno partendo volontario per il Vietnam e lui, William, sceglieva la strada opposta. Il fratello rischiava la vita nel Sudest asiatico. Lui rischiava manganellate della polizia marciando contro la guerra, gridando slogan pacifisti contro il presidente Lyndon Johnson e poi contro quel Richard Nixon che la madre editrice, Ben Bradlee il direttore, Bob Woodward e Carl Bernstein i cronisti lavoravano per demolire. Furono sospinti dalla fuga dei “Pentagon Papers”, il rapporto segreto sulla realtà del disastro in Vietnam, che la mamma decise di pubblicare contro il parere degli avvocati, le minacce della Casa Bianca e la possibilità di essere incarcerata per alto tradimento, come bene narra il film di Spielberg con Meryl Streep, sotto l’elmetto di capelli cotonati e laccati che Katherine “Kay” Graham sempre portava. Dal dramma storico nel quale la madre, di personalità ferrea come le sue acconciature, si era gettata lasciando mano libera al direttore e ai suoi reporter, lui si era chiamato fuori. Era andato a studiare in California per prendere la laurea in legge. Si era sposato fuori dal circolo di signorine bene che ruotavano attorno alla sontuosa casa della madre, nel cuore di Georgetown, luogo di ritrovo per politici e celebrità di tutto il mondo, dove Kay teneva corte, fra i quali l’amico Giovanni Agnelli, che lei incorreggibilmente chiamava “Gionni” storpiando, forse per malizia, la pronuncia di Gianni. Aveva praticato con successo la professione legale in studi importanti, traducendo i grossi guadagni e l’esperienza in un fondo di investimento che lui aveva creato, per poi vendere tutto e dedicare i milioni accumulati alla beneficenza. E si era sposato 4 volte, divorziando 4 volte, per lasciare due figli, sempre lontano dalla “ditta”, dall’editrice del Washington Post divenuto una corazzata da un milione di copie nella gigantesca edizione domenicale a fine anni’ 70, nel settimanale Newsweek e nelle 4 stazioni tv locali di proprietà. La sua famiglia si passava la vocazione e le azioni di generazione in generazione, prima dal nonno al padre, poi dal padre alla madre Kay poi al figlio Donald, il reduce dal Vietnam, nel 1979, e infine alla figlia, e sorella, Katharine Meyer sposata Weymouth nel 2008, quando era cominciato il declino precipitoso del giornale ceduto dopo cinque generazioni, a Jeff Bezos, il signore di Amazon. Mai lui, William, sempre escluso dai passaggi di scettri e di pacchetti azionari, era rimasto solo sulla costa lontana del Pacifico a vivere la propria sofferente estraneità. Anche il filmone di Spielberg, parabola della nuova battaglia che il “Post” di Bezos sta conducendo contro Donald Trump, non fa alcun cenno al figlio distante, all’erede che non voleva ereditare. A quel William che ha detto con il suo gesto di essere quello più simile al padre, suicidandosi.