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 2017  dicembre 28 Giovedì calendario

Sul vialetto del tramonto con Soldati

All’alba degli anni Settanta L’attore, il bestseller di Mario Soldati adesso riproposto in veste economica (Bompiani), ebbe ancora, dattiloscritto, tre lettori d’eccezione: lo scrittore Giorgio Bassani, il critico Cesare Garboli e il poeta Vittorio Sereni. A volte indulgenti con i mediocri, erano severissimi con gli amici. Del libro di Soldati si mostrarono entusiasti non senza dare però suggerimenti e consigli che potevano valere quali altrettanti dubbi. Fatto sta che Mario, nei due mesi precedenti al momento d’andare in stampa, sottopose il romanzo a revisioni e tagli. La cura fu salutare se L’attore vendette in tre o quattro mesi 100 mila copie.
Suddiviso in tre parti scandite in rapidi capitoletti, a distanza di 47 anni dalla sua prima edizione, L’attore sorprende: ha l’intrigante cattiveria d’un pettegolezzo mondano, si fa forte d’una prosa coinvolgente come quella d’un reportage d’alta scuola e acquista col progredire della vicenda la leggibilità d’un noir.
L’epoca dei fatti narrati? Gli anni del boom economico nel loro momento più pagano e spavaldo. L’ambiente? Il mondo dello spettacolo, gli uffici direttivi della Rai a viale Mazzini. All’epoca Soldati li frequentava e si ha così l’impressione che alle spalle dei personaggi d’invenzione vi siano i veri dirigenti di allora messi spietatamente in caricatura. I luoghi del romanzo? Una Roma anni Sessanta già resa invivibile dal traffico, la Riviera di Ponente fra Sanremo e Bordighera, i grandi alberghi della Costa Azzurra, il festival cinematografico di Cannes con i suoi cocktail e il Casinò di Montecarlo. Champagne e décolleté. Si incontrano fra l’altro, a far da simpatici testimoni d’un lusso e d’un divismo oggi tramontati, due giornalisti e scrittori della qualità di Ercole Patti e di Carlo Laurenzi. In altro momento del racconto fanno da comparse d’eccezione con i loro nomi e cognomi il regista Mario Camerini e un giovanissimo Umberto Eco.
E l’intreccio, e i suoi protagonisti? Eccoli! Soldati in persona che civetta con se stesso impersonando l’io narrante e un qualcheduno creato pensando a un caratterista abbastanza noto fra il 1938 e il 1943. Ne tacciamo pietosamente il nome d’altronde dimenticato. Nelle pagine soldatiane si chiama Enzo Melchiorri, ha perso i capelli e vive un lungo tramonto professionale. Da giovane era pressoché insostituibile, infierisce Soldati, nelle parti «di cattivo, di perfido, di sottile diplomatico, di subdolo consigliere, anche di criminale freddo e crudele: oppure francamente di comico spinto e di babbeo». Da anni però nessuno più lo vuole e vive a Bordighera in compagnia d’una moglie che non sa resistere ai richiami del vicino casinò di Sanremo dove perde ogni sera somme ingenti. Converrà, prima di rovinare un romanzo riassumendolo alla brava, citare una pagina illuminante di Natalia Ginzburg. «Il gioco magico nei romanzi di Soldati – scrive – è in genere quello di insinuare in una trasparenza di vetro o d’acqua, entro una realtà abitabile, respirabile e chiara, un’incrinatura obliqua, un lampo verde e sinistro, che sembra provenire da altri mondi e indicarne la realtà non respirabile, non abitabile, notturna e priva di stelle. I suoi romanzi sono, sempre o quasi sempre, storie d’incontro con il male». Perfetto.
Aggiungerò che leggere Soldati, per chi ami la letteratura, è un modo sempre sorprendente di scoprire fin dove possano giungere, alleandosi, una creatività capricciosa, una cultura anticonformista e l’amore per lo scrivere mettendo a frutto un mestiere scaltro ma anche severo.
Oggi di Soldati si conosce perlopiù l’ombra mediatica che tuttavia non gli corrisponde. Strano caso il suo. Fu tra i grandi del nostro Novecento letterario rifiutandosi però di apparire importante. Si studiò di sembrare sempre elegantemente marginale. Era un maestro del cinema ma non voleva dirigere dei film immortali. Educato al Sociale di Torino, forgiato dai gesuiti, amava probabilmente l’ebrezza che nasce dal farsi modesti. Era credente? Lo si poteva sospettare. Non lo era? A volte cercava di farlo credere. In ogni caso teneva nascosto il suo pensiero religioso. Salvo che di sorpresa, come in questo romanzo, eccolo tirar fuori una frase che vale quasi una confessione, sia pure elusiva: «secondo Pascal i credenti sono dei sublimi giocatori».
Per dare sinteticamente un’idea del fascino raffinato di Soldati ci voleva un raffinatissimo poeta nonché prosatore d’eccezione quale Attilio Bertolucci. I due si incontrano una mattina presto a Tellaro, nella luce magica del golfo spezzino. E così, col sentimento della vita e la tavolozza d’un pittore impressionista, Attilio ritrasse Soldati: «Di questo signore dritto e integro come una canna di malacca non sai mai se porti lo stesso abito marrone da innumerevoli anni o se ne faccia tagliare tanti tutti uguali».
Più avanti l’autore di Aritmie, già allievo di Roberto Longhi, aggiunge: «Mentre le mode cambiano (Soldati) non appare mai arretrato, anzi più avanti di tutti, con quelle camicie di un rosso, di un verde che fa pensare alle tinte nette e pure di Matisse». Quindi finendo un po’ ma solo un po’ in caricatura, con malizia parmigiana Bertolucci scrive ancora: «Non sai mai se i suoi capelli e baffi bianchi sono autentici o finti...».
Aggiungerò che un giorno davanti a me, preparandosi a una comparsata televisiva, Soldati tirò fuori di tasca una scatoletta di metallo. Dentro c’era un pennellino con cui si ritoccò i baffi ma fu, almeno credo, per divertirmi e divertirsi, poiché i suoi baffi non mutarono di colore.
In questo romanzo l’incontro col male, suggerito dalla Ginzburg, odora di casalinghitudine. Nella villetta di Melchiorri, oltre alla moglie mangiata dalla passione del gioco d’azzardo, circola un’attizzante cameriera francese. Si chiama Giovanna, ha cosce muscolose e profilo malioso. Ama con forza primitiva. Le gira intorno un faccendiere, un certo Argenta. Che cosa vuole costui? Come desidera sfruttarla? Quale il suo segreto disegno?
Soldati scrittore chiede a questo punto aiuto al Soldati cineasta. Negli ultimi capitoli scatta cosi la molla d’un noir e la suspense cresce un po’ a scapito della qualità letteraria. In una notte di tempesta Giovanna morirà in un misterioso e narrativamente opportuno incidente d’auto. «Evidentemente anche la morte romanzata viene motorizzandosi», scriveva Emilio Cecchi consigliando ai narratori italiani un maggior rispetto del codice della strada. Le gomme lisce o l’eccesso di velocità avevano preso già negli anni Sessanta, col diffondersi dell’auto per tutti, a dare un aiuto troppo sensibile quanto facile a risolvere le trame narrative e i destini dei loro attori.