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 2017  dicembre 28 Giovedì calendario

Riccardo Muti: a Vienna niente scherzi. Intervista

Sarà lui a dirigere il concerto di Capodanno di Vienna. La quinta volta per Riccardo Muti che promette: non farò gag, neanche von Karajan faceva scherzi. Lo champagne è pronto in frigo, sulle rive del bel Danubio blu, le bollicine accompagneranno la malìa di una musica che possiede come nessun’altra la speranza di un anno migliore. Riccardo Muti sta già provando il concerto di Capodanno al Musikverein di Vienna, che il primo gennaio collegherà in mondovisione 94 nazioni: andrà in onda in differita alle 13.40 su Raidue.
È il suo quinto concerto con i valzer della famiglia Strauss; raggiunge Zubin Mehta: sopra di loro solo Clemens Krauss, Lorin Maazel e Willi Boskovsky, che però ebbero, in forme diverse, un rapporto continuativo con i Wiener Philharmoniker e la Staatsoper. Il più grande studioso degli Strauss, Franz Mailer, ha messo tre direttori al vertice di questa musica: Karajan, Kleiber, Muti.
Maestro, come si sceglie il programma di un concerto sempre eguale a se stesso e allo stesso tempo diverso?
«È vero, diverso perché ogni direttore porta la sua impronta. Il programma l’ho elaborato col direttore della società “Johann Strauss”, di cui sono membro onorario. Ho visto una quantità di pezzi di Johann padre e figlio, del fratello Josef e di altri compositori, in un’alternanza di musica brillante e malinconica. Ho messo Le Rose del Sud, omaggio al nostro Sud, che è uno dei due momenti danzati (l’altro è una gavotta di Czibulka; poi il Wilhelm Tell Galop e la Quadriglia sui temi di Un ballo in maschera, a sottolineare quanto la musica di Rossini e Verdi fosse così popolare a Vienna. Non sono parodie, né richiamano le parafrasi verdiane di Liszt al piano».
Ha già pensato al tradizionale scherzo prima dei bis?
«Ho sempre evitato scherzi e giochi. Al massimo si può prendere un bicchiere di champagne nel brindisi. Non sono come quei colleghi che mettono il cappello di capostazione o fanno suonare trombe e trombette. Non li sto criticando. La penso come Karajan: non è musica d’intrattenimento. È una musica che va presa sul serio, difficile da eseguire, che oscilla tra due poli: l’apparente felicità e un senso drammatico, qualcuno dice tragico: non vorrei arrivare a quel punto, ma si sente la fine di un Impero che sta per crollare».
Quali sono i segreti di questa musica?
«La gente non sa che un valzer è composto di quattro o cinque valzer differenti che si mettono insieme. Il Danubio Blu ne contiene cinque che si susseguono senza soluzione di continuità, ognuno con un suo andamento e in contrasto con l’altro. Il valzer nasce da un movimento ternario, il terzo incomodo era considerato come un’espressione diabolica, è quel qualcosa in più che richiede un tipo di rubato, cioè di esitazione che è tipica dei valzer viennesi».
Il 31, per lei, pasto frugale e a letto presto…
«Assolutamente sì, devi essere pronto, nel pieno delle tue facoltà, anche se il 31 avrò già il concerto, che diventa una prova generale. Sono pezzi difficili, dove i fiati, i primi violini e i violoncelli sono esposti in continuazione. Oggi c’è l’uso di dire in tv, per ogni piccola notizia, che si è in diretta. Noi lo saremo davanti a centinaia di milioni di persone, tutto avviene al momento, c’è una responsabilità forte».
La Rai dal 2004 antepone il concerto della Fenice (in diretta su Raiuno) a quello di Vienna. Poteva tornare all’antico, visto che c’è un direttore italiano?
«Bisogna chiederlo ai dirigenti Rai. Tra l’altro la prima volta della Fenice coincise, nel 2004, con il mio precedente concerto al Musikverein. I viennesi rimasero disorientati per il fatto che, con un direttore italiano, l’Italia per la prima volta compisse una scelta autarchica. Ognuno è libero di fare ciò che vuole, alla Rai ritengono che sia giusto così. Certo il concerto di Vienna è unico, non solo per la qualità dell’Orchestra ma perché quella musica a cavallo tra il sorriso e la lacrima fa parte di un periodo storico particolare e si adatta all’atmosfera del primo dell’anno, evocando desideri e sogni che non esistono in altri repertori. Non credo che i miei musicisti di Chicago sarebbero interessati al brindisi della Traviata o al Va’ pensiero, e si sa quanto ami quelle opere, ma con la fine dell’anno c’entrano poco».
Lei sa ballare i valzer?
«No. Ci ho provato una volta ma pestai il piede a mia moglie Cristina. Non li so ballare: li so dirigere».