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 2017  dicembre 28 Giovedì calendario

Un quinquennio pesante per i conti: 5 manovre «lorde» da 140,9 miliardi

Cinque manovre da 140,9 miliardi lordi, a cui si accompagnano gli interventi correttivi, come quello da 3,4 miliardi approvato in primavera, che però sono nati per riportare i conti nei binari ipotizzati con le leggi annuali di previsione.
Suona così il conto economico di una legislatura cadenzata da 357 leggi approvate, e percorsa da tre governi (Letta, Renzi e Gentiloni) ma solo da due ministri dell’Economia (Saccomanni e Padoan). Un conto gestito nel tentativo di accompagnare la correzione strutturale dei conti pubblici alle misure pensate per ridare un po’ di fiato alla crescita e all’occupazione, secondo la matrice del «sentiero stretto» coniata dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che di queste manovre è stato autore in quattro casi su cinque.
La legge di bilancio appena chiusa dal Parlamento, e in attesa delle cifre ufficiali che saranno limate dal ministero dell’Economia nei prossimi giorni, vale 27,8 miliardi lordi, e chiude un ciclo discendente rispetto agli anni passati, con le manovre lorde passate dai 34 miliardi del 2015 e 2016 ai 30,2 dello scorso anno.
Si tratta, si diceva, di valori «lordi», nel senso che il calcolo «netto» ogni anno si abbassa per tenere conto di due fattori: la ricomposizione di entrate e spese all’interno del bilancio, e il carattere «congiunturale» e non «strutturale» di alcune misure, che di conseguenza non entrano nei calcoli di Bruxelles.
Sul piano pratico, però, il consuntivo va valutato guardando ai fondamentali del bilancio pubblico. Il dato chiave, rilanciato in più di un’occasione dallo stesso Padoan con la convinzione che la legislatura lascia al prossimo Parlamento un «quadro migliore» di quello ereditato dallo scorso, è nel deficit. Il prossimo anno, sulla base degli obiettivi appena fissati con la legge di bilancio, il rosso dovrebbe fermarsi all’1,6%, contro il 3,1% che l’Esecutivo Monti aveva messo in programma per il 2013. In miglioramento, leggero, anche il debito, aiutato anche dalle riclassificazioni dell’Istat intervenute in corso d’opera: nel 2013 si era al 130,4% del Pil, nel 2018 ci si dovrebbe fermare al 129,9 per cento.
Una cifra, va detto, che resta lontana dai più ambiziosi programmi iniziali, spinti anche da privatizzazioni rimaste in naftalina; e che probabilmente non eviterà di mettere una manovra correttiva nella prima pagina dell’agenda per il governo che dovrebbe uscire dal voto di marzo.
Come le riduzioni sensibili del debito, anche la crescita dell’avanzo primario, cioè della differenza fra entrate e uscite statali prima di pagare gli interessi sul debito, resta nei programmi più che nelle realizzazioni. Nel 2018 il “risparmio” sarà al 2,6% del Pil, cioè due decimali sopra rispetto a cinque anni fa. Misure fiscali e prove anti-evasione hanno infatti fatto crescere le entrate, passate dal 33,2% al 33,7% del Pil, ma il ritmo è stato più intenso sul lato delle spese (35,3% del Pil nel 2018, contro il 33,7% del 2013, in una dinamica spinta anche dai provvedimenti sblocca-debiti della Pa).
Anche lontano dall’economia, però, l’impegno di governo e parlamento si è fatto sentire. Almeno in termini numerici. Tocca al 2016 la palma di anno più prolifico, con 94 leggi portate in «Gazzetta Ufficiale», mentre alla data di ieri il 2017 si ferma a quota 73. In 57 casi si tratta di leggi ordinarie, ma il pallottoliere è mosso anche dalle attuazioni delle deleghe: sono 11 le attuazioni di deleghe al governo, in larga parte figlie della riforma della Pa che in tutto ha prodotto 23 decreti legislativi (e ancora aspetta di chiudere la partita sulle Camere di commercio).
Ad aiutare questa corsa sono state anche le commissioni, che in 25 casi hanno approvato i provvedimenti senza passare dall’Aula: nella legislatura è successo 16 volte al Senato e 9 alla Camera.