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 2017  dicembre 27 Mercoledì calendario

Energia dal sole, il governo ferma la centrale sarda

Una domanda: per l’ambiente è meglio produrre elettricità estraendo l’energia dal calore del sole mediante una tecnologia innovativa nata in Italia, oppure è meglio produrre energia importando via nave combustibili fossili come metano liquido o prodotti petroliferi arrivati da Paesi lontani? La risposta giusta è la seconda: a parere della Regione Sardegna e del Governo italiano, importare petrolio e gas estratti da giacimenti lontani tutela l’ambiente di più dell’energia solare. Nei giorni scorsi il Consiglio dei ministri ha deciso che non si farà la centrale solare termodinamica di Gonnosfanàdiga, in Sardegna, esattamente come ha chiesto la Regione. Bocciatura definitiva per il progetto. Così i dipendenti dell’indotto solare senza commesse vanno in cassa integrazione e potrebbe emigrare la tecnologia nata in Italia.
Il progetto era stato presentato da una società vicina al gruppo di trading energetico marchigiano Fintel e, con un investimento fra i 300 e i 350 milioni, prevedeva la costruzione di una centrale solare di nuova tecnologia della potenza di 55 megawatt.
La centrale si sarebbe basata sulla tecnologia degli specchi ustori con cui lo scienziato siracusano Archimede nell’anno 212 prima di Cristo riuscì a incendiare a distanza le navi romane che assediavano Siracusa. Con specchi ricurvi, il calore del sole sarebbe stato concentrato fino a raggiungere le temperature adatte a produrre il vapore necessario a far rotare turbina e generatore.
La stessa tecnologia era stata sperimentata anni fa dall’Enea e dall’Enel a Siracusa mentre a Massa Martana l’azienda umbra Angelantoni aveva sviluppato per l’Enea il cuore del sistema, il tubo speciale che avrebbe sfruttato il calore di centinaia di gradi emanato dal sole, e con un investimento di 80 milioni aveva avviato lo stabilimento della società Archimede, partecipata in minoranza anche da Mitsubishi e dall’araba Fal.
Il progetto della centrale prevedeva di posare specchi su circa 250 ettari della piana tra Gonnosfanàdiga e Guspini, in provincia di Cagliari. Sotto gli specchi sarebbero continuate le attività di pascolo e di agricoltura tradizionale. Ma anche l’occhio vuole la sua parte. Il panorama sarebbe stato cambiato da quella luminosa superficie specchiata.
Il ministero dell’Ambiente, commissione di Valutazione di impatto ambientale, aveva rilevato che non vi sarebbero stati danni ambientali; il ministero dei Beni culturali aveva contestato il disturbo al pregevole paesaggio della zona. In caso di divergenza si passa all’istanza più alta, il Consiglio dei ministri.
Venerdì scorso la risposta del Governo: approvati la costruzione della centrale di compressione del metano a Sulmona (Snam) e gli investimenti alla raffineria di Taranto (Eni) ma no a diversi progetti rinnovabili. Bocciatura per un impianto geotermico a basso impatto ambientale a Torre Alfina (Viterbo) e alla centrale solare in Sardegna.
Con l’avvicinarsi del clima elettorale diventa prezioso il consenso, e quegli impianti avevano suscitato la nascita di infiniti comitati di opposizione.
La centrale di Gonnosfanàdiga avrebbe arrecato danni irreparabili all’agnello di Sardegna Igp (protesta del Consorzio di tutela), gli uccelli acquatici sarebbero entrati «in collisione mortale con gli specchi» (Comitato Terrasana Decimoputzu), gravi danni alla «gallina prataiola» (Studio Anthus), «a repentaglio il latte di pecora» (Argiolas Formaggi di Dolianova), sarebbe scomparsa la «famosa anguria di Gonnos (sa Sindria de Gonnos)» (Associazione Biodiversità Gonnese).
Dice Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club: «Una vicenda simbolica. Il risultato è che un impianto tecnologico all’avanguardia non si farà. Poi magari nei convegni qualche ministro continuerà a parlare del talento e del know how italiano. E intanto il decreto sulle fonti rinnovabili non fotovoltaiche giace nei cassetti dello Sviluppo Economico da oltre un anno e tante imprese stanno pensando a emigrare».
Senza commesse ora lo stabilimento Archimede è fermo, i dipendenti in cassa integrazione, «mentre riceviamo proposte di joint venture da Cina e Arabia», avverte l’imprenditore Gianluigi Angelantoni.
Ma la «famosa anguria di Gonnos» è salva.