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 2017  dicembre 28 Giovedì calendario

Nuove rotte e asse con i cinesi: così la camorra muove i botti

Dalla Cina fino all’Italia, con tappa fissa in Campania, le cosche consolidano un business che, con il minimo sforzo, garantisce il massimo guadagno e anche il massimo pericolo per l’incolumità pubblica. È quello dei botti illegali di Capodanno, che in poco tempo è in grado di fare girare montagne di denaro. Soldi facili, che finiscono dritti nelle mani della camorra napoletana che, però, deve spartirsi la piazza con la mafia cinese, che si occupa soprattutto di vendita e importazione. Solo per fare un esempio del volume d’affari: la «Bomba Isis», gettonatissima lo scorso anno, costava dai 50 ai 70 euro. Qualche giorno prima di Capodanno il prezzo schizzava addirittura fino a 200 euro. Il tutto a fronte di spese di fabbricazione bassissime: 5 euro circa per l’acquisto dei materiali e un lavoro di assemblaggio che dura al massimo dai 15 ai 30 minuti. Buona parte delle fabbriche, specie in Campania, sorgono rapidamente in autunno per sparire nel nulla subito dopo le feste. Sulla pericolosità del fenomeno parlano chiaro i dati della polizia di Stato: dal considerando solo gli anni che vanno dal 2011 al 2015, si contano 2.423 feriti e 2.154 persone denunciate o arrestate.
LA VENDITA
I botti illegali, fabbricati nei depositi abusivi, vengono venduti spesso nelle bancarelle di giocattoli e nei grandi magazzini cinesi. La pubblicità è la più antica del mondo: il passaparola. Così può succedere che, nello stesso negozio che espone in vetrina bambole e peluche per bambini, si possa trovare anche la famigerata «Bomba di Maradona», uno dei fuochi d’artificio abusivi più pericolosi degli ultimi anni. Per salutare il 2017, invece, è caccia sottobanco alla «Bomba Gomorra». L’altro canale di vendita, specie a Napoli, è fatto di «baracchini» del tutto abusivi che sorgono spesso in pieno centro storico: «Da quando distruggiamo questi negozi abusivi, oltre ai fuochi, il commercio ha subito una stretta», spiega Michele Spina, dirigente dell’ufficio volanti di Napoli. Anche i dati della Guardia di finanza sono espliciti: anno dopo anno incrementano in modo esponenziale gli artifici pirotecnici illegali sequestrati. Anche quest’anno solo nel mese di dicembre, si sono susseguite operazioni praticamente quotidiane, condotte a tappeto di regione in regione. E con l’avvicinarsi di Capodanno i controlli si fanno sempre più serrati. Ieri, l’ultimo blitz: i carabinieri hanno sequestrato a Bari circa 4 quintali di fuochi d’artificio illegali e pericolosi. Due persone sono state arrestate. Altre tre sono invece state denunciate. Nella casa di campagna di un venticinquenne di Ruvo è stato trovato un vero e proprio laboratorio, allestito nei minimi particolari: bobine di miccia pirotecnica da 50 metri, polvere di alluminio, miscela pirica, polvere nera in grani, inneschi elettrici. Anche in questo caso, gli inquirenti sospettano che per il rifornimento ci sia un canale diretto con la malavita comune e organizzata.
BOMBE CARTA
In un’altra villa rurale, i militari hanno trovato in un container 770 bombe carta. E ancora: petardi micidiali nascosti nei bagagliai delle auto. Il 22 dicembre, a Reggio Calabria, sono stati trovati 7 quintali di fuochi abusivi. Il business si estende anche al Nord e alla Capitale, dove la scorsa settimana la Divisione amministrativa della Questura ha sequestrato 600 chili di «botti» pericolosi. A Nord di Roma, tra Fiano Romano e Formello, gli agenti hanno scoperto un laboratorio attrezzato, che custodiva all’interno un arsenale di fuochi artigianali e importati. Il proprietario è stato denunciato per di aver allestito una vera e propria attività abusiva di artifici pirici, in spregio alle più elementari norme di sicurezza. Il 21 dicembre, a Messina, la Finanza ha sequestrato addirittura una tonnellata di botti illegali. In tutto si tratta di 26.727 fuochi d’artificio pericolosi, smerciati sottobanco e senza le regolari licenze. A Lamezia Terme, il 20 dicembre, un altro sequestro da record: 9 quintali di fuochi illegali, all’interno di un grande magazzino gestito, guarda caso, da cinesi.