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 2017  dicembre 27 Mercoledì calendario

Per Gentiloni ora oltre tre mesi di campo libero

Per assurdo, è a Camere sciolte che Paolo Gentiloni potrà dare il suo meglio. Domani, al massimo venerdì, 630 deputati e 315 senatori si ritroveranno disoccupati ma lui, il presidente del Consiglio, resterà al proprio posto. Nella pienezza dei poteri, direbbero i costituzionalisti, perché nelle nostre regole non è previsto che il governo si dimetta con la fine della legislatura. Gentiloni salirà al Colle, scambierà gli auguri col Capo dello Stato, insieme fisseranno la data delle elezioni (quasi certamente il 4 marzo) e la prima riunione del nuovo Parlamento (entro 20 giorni dal voto). Dopodiché il premier tornerà a Palazzo Chigi e chissà se il vuoto politico intorno gli causerà un senso di vertigine o di leggera euforia, trovandosi sospeso nell’aria senza una maggioranza e senza nemmeno un Parlamento cui dare conto. Eppure, proprio per quest’assenza di condizionamenti, sarà più libero di decidere e di agire.

Poteri a fisarmonica
L’unica vera rinuncia riguarderà i disegni di legge: in attesa delle nuove Camere il premier non saprebbe a chi presentarli. Per le grandi riforme più ambiziose dovremo attendere giorni migliori. Ma se ci sarà urgenza di intervenire, al governo resterà l’arma solita del decreto. Con o senza Parlamento potrà prendere provvedimenti, dare direttive, attivare l’amministrazione. E quando finalmente Gentiloni dovrà dimettersi, dopo Pasqua, non per questo si girerà i pollici. Nulla in Italia è più elastico dei cosiddetti «affari correnti». L’ordinaria amministrazione, che dovrebbe rappresentare il limite dei governi dimissionari, somiglia a una fisarmonica, si allarga e restringe a seconda delle necessità. Nel 2008 Prodi provò a mettersi dei paletti, ma lui stesso poi intervenne nella crisi dei rifiuti a Napoli e in quella diplomatica del Kosovo. Nessuno glielo rimproverò, anzi. Addirittura Mario Monti fece un decreto da 40 miliardi per sbloccare i debiti scaduti della pubblica amministrazione. E da premier dimissionario, con il beneplacito del presidente Giorgio Napolitano, presentò il Def, cioè il piano di programmazione economica, l’atto politicamente più impegnativo che ci sia.

Nuovo protagonismo
Guai insomma a considerarlo un «FF» (facente funzione). Semmai un «rasserenatore». Gentiloni ha la chance di mostrare al mondo che l’Italia procede con ordine verso l’appuntamento elettorale. E nell’attesa di un nuovo governo, quando finalmente lo avremo, c’è chi si fa carico delle emergenze. Dunque non vi è motivo per allarmismi e fibrillazioni sui mercati per la paura del «dopo». Se a fine aprile sarà ancora in sella, nessuno ad esempio impedirà al governo di confermare i vertici della sicurezza (Polizia e servizi segreti) o nominarne di nuovi. Già a gennaio si porrà il nodo delle missioni internazionali cui l’Italia partecipa, ed è probabile che Gentiloni nell’occasione proponga di mandare nostre truppe nel Niger per fermare gli schiavisti. A febbraio ci sarà parecchio da discutere con Bruxelles perché la manovra economica 2018 è ancora sub judice, e chi se non il governo in carica dovrà incrociare le lame? Marzo sarà decisivo per l’Europa in quanto Merkel e Macron presenteranno al Consiglio Ue del 22-23 la loro proposta congiunta di riforma dell’eurozona: l’Italia non potrà permettersi scena muta. Idem, dovremo farci sentire sui migranti, visto che a giugno verrà deciso come procedere su frontiere, quote e diritto d’asilo. Dal primo gennaio, per 12 mesi, avremo la presidenza dell’Osce, l’organismo europeo che insieme a Russia e Stati Uniti si occupa di sicurezza e dialogo: per l’Italia, sarà un’occasione di presenza internazionale. Forse l’ultima per un bel po’.