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 2017  dicembre 27 Mercoledì calendario

È Mario Draghi il personaggio del 2017. Se l’Europa cresce è merito suo

L’Eurozona locomotiva del mondo: noi giornalisti, commentatori, editorialisti dell’area Economia del Corriere della Sera non possiamo ancora fare questo titolo. A fine 2017, però, possiamo registrare che l’area euro è più dinamica di quella del dollaro, che la crescita è tornata abbondantemente sopra al 2% ed è una realtà in tutti i 19 Paesi, che gli investimenti sono ripresi, che la disoccupazione cala, che le esportazioni tirano. Non succedeva da anni che tutti gli indicatori puntassero al positivo nel continente che maggiormente ha subito la crisi finanziaria e le sue conseguenze: è la sorpresa dell’anno a livello globale, pochi l’avevano prevista dodici mesi fa. 
Mario Draghi è colui che, più di chiunque, ha determinato la svolta: questo possiamo già metterlo ora nei titoli. E questo è il risultato del sondaggio condotto dopo una discussione nel giornale: Draghi personaggio dell’anno per quel che riguarda l’economia. 
Non è la prima volta che al presidente della Banca centrale europea capita di essere scelto come uomo che più di ogni altro ha influenzato mercati, produzione, scambi. Già nel luglio 2012, a Londra, il suo Whatever it takes aveva dato il segno a un intero anno (e anche di più) bloccando di fatto la crisi dell’euro con l’assicurazione che la Bce avrebbe, senza ombra di dubbio, evitato la rottura della moneta unica. E negli anni successivi aveva condotto una politica monetaria nuova per il Vecchio Continente, non convenzionale, capace di dare gambe all’annuncio londinese.
Quello che fa del 2017 un anno speciale è però il fatto che abbia registrato la vittoria della banca centrale nella battaglia per riportare alla normalità l’economia. La situazione nuova l’ha riassunta Draghi stesso nella conferenza stampa dello scorso 14 dicembre: nell’Eurozona non è più il caso di parlare di «ripresa», si può tornare a parlare di «espansione». Come ai vecchi tempi in cui le crisi finanziarie erano meno devastanti. 
Le dinamicheNell’anno che si sta chiudendo, il merito di Draghi non è stato tanto quello di guidare la Bce su strade nuove. Le aveva già imboccate nel 2014. La sua capacità – di economista, di alto funzionario e di politico con alto senso del potere – è stata quella di tenere salda la direzione nonostante i dubbi e le opposizioni di alcuni nel Consiglio dei Governatori del sistema delle banche centrali e di più di un governo europeo, quello tedesco in testa ma non solo. Già a inizio anno, erano forti le pressioni affinché la banca centrale abbandonasse la politica di Quantitative Easing, cioè l’acquisto di titoli sui mercati, e si muovesse verso un rialzo dei tassi d’interesse. In parallelo al miglioramento dell’economia e a qualche piccolo segno di ripresa dell’inflazione, Draghi ha ridotto la portata dell’acquisto di titoli, prima da 80 a 60 miliardi al mese e poi da 60 a 30 dal prossimo gennaio. Ma allo stesso tempo ha allungato il programma: fino al prossimo settembre, se ce ne sarà bisogno anche oltre. Ha chiarito che la Bce rimane attiva sui mercati e lo resterà a lungo, anche perché una volta terminati gli acquisti netti continuerà a reinvestire i proventi dei titoli in portafoglio che andranno a scadenza (una decina di miliardi al mese, si calcola). Non solo. Draghi ha di fatto reso noto che finché rimarrà presidente dell’istituzione di Francoforte (fine ottobre 2019) la politica monetaria rimarrà fortemente espansiva. I tassi d’interesse guida resteranno al livello attuale, cioè a zero o negativi, fino a «ben oltre» il termine del programma di acquisti netti di titoli. I mercati sanno insomma quello che succederà. E lo stesso vale per chi vuole investire e per i consumatori. La Bce continuerà a sostenere l’economia. Rimane il problema dell’inflazione, che per qualche anno non sarà ancora in grado di sostenersi a livelli vicini al 2% senza lo stimolo monetario. Anche qui, però, Draghi ha registrato che il pericolo vero, dodici mesi fa ancora presente, cioè la deflazione, oggi non c’è più. 
La missioneMissione quasi compiuta. Se l’economia è tornata a espandersi, buona parte del merito è della Bce. Il resto è di quei Paesi che hanno fatto riforme strutturali significative – Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda – e hanno riportato i conti pubblici sotto controllo. Come però sostiene Draghi a ogni conferenza stampa, la politica monetaria può creare condizioni favorevoli al ciclo economico ma non può intervenire sulla crescita potenziale di un Paese. A questo possono pensare solo i governi nazionali con riforme che aprano i mercati protetti e accrescano la produttività. Insieme a politiche di bilancio rispettose del Patto di Stabilità europeo e caratterizzate da un mix di interventi favorevoli alla crescita invece che alla spesa improduttiva. Si tratta di una necessità che per l’Eurozona diventa un obbligo ancora maggiore oggi che gli Stati Uniti di Donald Trump hanno varato una riforma fiscale che ha la potenzialità di rendere molto più competitive le imprese americane. Draghi ha messo i 19 dell’area euro nelle condizioni migliori per approfittare della positività dell’economia e varare riforme che attendono da anni, in tutti i Paesi. Per questo, a opinione di chi scrive di economia al Corriere, è il personaggio dell’anno.