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 2017  dicembre 27 Mercoledì calendario

Attacco in Libia. Vola il petrolio

Attentato a un oleodotto in Libia. L’attacco in Cirenaica. E spunta la pista del-l’Isis. Si impenna il prezzo del petrolio, ora ai massimi dal 2015. 
Cresce la tensione politica in Libia e inevitabilmente a farne le spese è anche la sua produzione petrolifera. L’attacco ieri mattina contro l’oleodotto che porta il greggio al terminale di Es Sider, posto un centinaio di chilometri sulla costa a est di Sirte e uno dei più importanti della Cirenaica, va inquadrato nel grave processo di tensione interna peggiorato dopo la fine formale degli accordi di Skhirat, il 17 dicembre scorso.
Ieri due gipponi carichi di uomini armati (fonti locali di sicurezza accusano l’Isis) si sono avvicinati all’oleodotto in pieno deserto, nella zona di Marada, e hanno piazzato alcune cariche esplosive. La deflagrazione pare abbia causato danni gravi, che vengono ora valutati dai tecnici della National Oil Company (Noc), la compagnia petrolifera nazionale libica. I social media locali riportano le immagini di una nube densa di fumo nero. Prima conseguenza è stata la perdita netta di circa 90 mila barili nella produzione quotidiana libica. Un dato che rappresenta circa il 10 per cento dell’attuale produzione nazionale, che sfiora il milione di barili al giorno. Una delle conseguenze è stata la reazione nervosa dei mercati internazionali, influenzati anche da manovre speculative visto che le quote della produzione libica sono irrisorie e comunque di poco affidamento, che ieri hanno visto crescere il prezzo del greggio di 1,51 dollari, pari al 2,31 per cento, e raggiungere i 66,83 dollari al barile, la cifra più alta dal maggio 2015. Va però aggiunto che a causa della situazione di instabilità interna anche l’arrivo del greggio ai terminali sulla costa libica subisce costanti alti e bassi.
Prima della rivoluzione del 2011 la produzione di greggio libico superava il milione e 600 mila barili al giorno. Nel 2012 era crollata quasi a zero. Salvo poi risalire e scendere a fasi alterne dal 2013 in poi. Uno dei dati più interessanti: durante la rivoluzione era stato accettato una sorta di patto non scritto tra il governo di Gheddafi e le milizie dei rivoltosi per evitare di danneggiare le infrastrutture e i pozzi di greggio e gas. Ma l’arrivo dell’Isis nella zona di Sirte aveva visto l’inizio di attacchi ben pianificati contro le infrastrutture e i pozzi. Situazione poi migliorata con la sconfitta dello Stato islamico a Sirte nel novembre 2016 grazie soprattutto all’impegno delle milizie di Misurata.
Nel gennaio di quest’anno la produzione di oro nero libico era ferma a 610 mila barili al giorno, scesi a 550 mila in aprile, saliti a oltre un milione in agosto e attestati a 973 mila in novembre. Obiettivo del governo di Fayez Sarraj, il premier della coalizione di unità nazionale basato a Tripoli e sostenuto dall’Onu così come previsto dagli accordi di Skhirat firmati nel dicembre 2015, era di mantenerla al di sopra del milione. Ma quelle intese sono state dichiarate ormai nulle dal generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica che mira a defenestrare Sarraj. Questi sostiene per contro che sino ad una nuova intesa, per esempio per la tenuta delle elezioni nazionali su cui sta lavorando l’inviato Onu Ghassan Salame, Skhirat resta valido.
In mancanza di un dialogo concreto torna intanto la violenza, come dimostra l’assassinio del sindaco moderato di Misurata, Mohammed Eshtewi, pochi giorni fa. In questo contesto, anche l’attacco ai pozzi torna ad essere parte della battaglia in corso senza esclusione di colpi.