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 2017  dicembre 27 Mercoledì calendario

Scontro sui soldati in Niger. Calenda: «Occorre una nuova Costituente, le riforme non vanno fermate»

L’invio dei militari italiani in missione nel Niger è l’occasione di un nuovo litigio con la sinistra. «Un brutto regalo» commenta Liberi e uguali che accusa il ministro Marco Minniti di «non aver brillato per trasparenza». Critica anche la Lega. Il cambio di strategia voluto per accrescere il peso del nostro Paese in Europa. Il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda in un’intervista al Corriere chiede «una Costituente». ROMA Ministro Carlo Calenda, che voto darebbe alla legislatura che sta per finire? 
«Non spetta a me dare voti. Avevamo due grandi emergenze, quella economica e quella istituzionale. Sul primo versante il bilancio è positivo per merito di tanti fattori: la Bce, la capacità di reazione delle imprese italiane ma anche la politica economica dei governi Letta, Renzi, Gentiloni che ha ridotto il deficit liberando risorse per la crescita. I problemi non sono alle nostre spalle, ci vorranno anni per comporre le fratture sociali ed economiche della grande crisi. Ma i governi di questa legislatura, primo fra tutti quello Renzi, hanno fatto molto di più per la crescita dell’insieme degli altri governi della Seconda Repubblica».
E sull’altra emergenza, invece, quella istituzionale?
«Abbiamo perso la sfida della costruzione di un sistema più forte ed efficiente. Ritengo questo nodo fondamentale in uno scenario internazionale pieno di incertezze. La sicurezza nazionale viene messa a rischio da un sistema che rallenta l’implementazione delle decisioni, favorisce il prosperare di particolarismi e ci trasforma nella Repubblica dei ricorsi al Tar e dei feudi locali. La prossima legislatura dovrà avere al centro questo tema, diventato tabù dopo il referendum. Forse la strada giusta, per aumentare il coinvolgimento dei cittadini, potrebbe essere quella di un’assemblea costituente».
Addirittura. E perché?
«È l’unico modo per aprire in maniera ordinata la Terza Repubblica invece di subire la dissoluzione caotica della Seconda. Serve un luogo per affrontare le pulsioni diverse emerse dal referendum costituzionale e da quelli di Lombardia e Veneto. Un luogo per porre fine alla kermesse delle leggi elettorali estemporanee, ridisegnare il rapporto tra esecutivo e legislativo, per affrontare il tema di una democrazia efficace, che peraltro affiora in tutti i Paesi occidentali».
La cosa più importante che ha fatto come ministro? 
«Industria 4.0, il piano Made in Italy e la Strategia energetica nazionale sono stati i tre pilastri dello sviluppo. I dati sulla produzione industriale, sugli investimenti privati e sulle esportazioni confermano che la strada è quella giusta. Ma se questo è il “gioco d’attacco” sono altrettanto orgoglioso di quello che abbiamo fatto per i settori industriali in difficoltà con una politica commerciale più forte contro il dumping, il rafforzamento del golden power contro gli investimenti predatori e il lavoro sulle crisi industriali, dall’Alcoa al protocollo contro le delocalizzazioni dei call center. Siamo riusciti a riportare al centro l’industria e il lavoro e questo era il mio obiettivo politico».
E la cosa più importante che invece non siete riusciti a fare? 
«Come ministro, il ritardo nella costruzione di quello che dovrebbe essere il nostro Fraunhofer (la rete tedesca degli istituti di ricerca applicata per le imprese, ndr ), rimasto per un anno in balia delle “navette” tra ministeri e organi di controllo. E poi non aver avuto il tempo di presentare una seconda legge sulla concorrenza più incisiva dopo la prima approvata con anni di ritardo. Per i governi nel loro insieme, abbiamo mancato l’obiettivo di sconfiggere il rancore e la sfiducia nel futuro, ancora troppo diffusi nel Paese. Anche per colpa di molti errori di comunicazione che hanno dato il senso di un distacco con la parte del Paese che ancora soffre.
Sulla vendita di Alitalia è vero che state stringendo con Lufthansa?
«Abbiamo tre offerte. Le valuteremo con molta attenzione e a metà gennaio inizieremo la negoziazione in esclusiva».
D’accordo, ma la compagnia tedesca è in vantaggio rispetto a easyJet e al Fondo americano Cerberus oppure no?
«Ripeto, abbiamo tre offerte. Il nostro obiettivo è raggiungere un accordo prima delle elezioni. Oggi Alitalia è gestita meglio e finisce l’anno avendo lasciato sostanzialmente intatto il prestito ponte. Ma è un’azienda fragile che non può sopravvivere da sola attingendo illimitatamente al denaro pubblico».
E sull’Ilva? C’è il rischio che il compratore, ArcelorMittal, si ritiri?
«Non lo so. Ha chiesto garanzie sugli investimenti allo Stato per tutelarsi nel caso in cui i ricorsi al Tar invalidino tutto, magari fra due anni. È inaudito: 5,3 miliardi di euro per un investimento industriale nel Sud non si vedevano da 40 anni. Ma la cosa incredibile è che nel merito del piano ambientale non ci sono osservazioni rilevanti»
Be’, con il governatore della Puglia Michele Emiliano ormai siamo allo scontro quotidiano.
«Nell’ultimo incontro abbiamo rivisto punto per punto le richieste di Comune e Regione, in larghissima parte accettate, a partire dall’anticipo della copertura dei parchi minerari. Nel giro di poco più di 24 mesi Ilva potrebbe diventare la migliore acciaieria europea, liberando una città ostaggio del dilemma salute/lavoro che non è degno di un Paese civile. Il sindaco mi ha chiesto garanzie per ritirare il ricorso. Gli ho proposto di firmare con istituzioni, investitore, parti sociali un accordo di programma. Spero davvero che prevalga quella responsabilità invocata da tutti i sindacati, oltre che da Gentiloni».
Ha detto più volte che alle prossime elezioni non si candiderà. Non glielo chiedo di nuovo. Ma, da cittadino, chi voterebbe?
«Il mio campo è quello del centrosinistra. Del resto ho servito, e ne sono orgoglioso, sotto tre presidenti del Partito democratico che in modi diversi hanno mostrato qualità e capacità. Guardo con grande interesse all’operazione di Emma Bonino, è fondamentale che l’alleanza con il Pd vada in porto. Ma sopratutto mi batterò perché il centrosinistra recuperi il linguaggio della realtà e della responsabilità contro quello della fuga dalla realtà dei 5 Stelle e della Lega. La prossima legislatura è molto pericolosa».
Pericolosa? E perché?
«La fine degli stimoli della Bce, un’Eurozona orientata a minore flessibilità, l’Occidente sempre più diviso e il Mediterraneo tornato al centro delle crisi. Non è tempo di rottamazioni, slogan e leadership solitarie ma di costruire un ampio fronte liberal democratico capace di mettere in sicurezza il Paese mentre attraversa il più difficile crocevia nella storia del Dopoguerra».

ROMA L’obiettivo è indicato nel decreto che sarà approvato dal Consiglio dei ministri: «Rafforzare le capacità di controllo del territorio delle autorità nigerine e dei Paesi del G5 Sahel (Niger, Mali, Mauritiana, Chad e Burkina Faso) e lo sviluppo delle Forze di sicurezza nigerine per l’incremento di capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza». È dunque la lotta agli schiavisti e ai fondamentalisti dell’Isis lo scopo primario della missione militare annunciata alla vigilia di Natale dal premier Paolo Gentiloni e dalla ministra della Difesa Roberta Pinotti per l’invio di soldati in Niger. Un impegno concordato oltre un mese fa con il presidente francese Emmanuel Macron che si inserisce in una nuova tattica politica sul piano internazionale: concentrarsi in quelle aree ritenute di «prioritario interesse strategico» e dunque il cosiddetto Mediterraneo allargato, dunque Africa del nord, Sahel, Medio Oriente, Corno d’Africa e Paesi del Golfo. E dunque rimanere in coalizione con Parigi e Berlino proprio per avere un ruolo attivo in Africa e dunque essere interlocutore privilegiato in sede europea. 
I tempiDopo il via libera del governo il decreto dovrà essere ratificato dal Parlamento. Negli anni scorsi è capitato che il voto sulle missioni slittasse tra febbraio e marzo, ma poiché la legislatura è ormai al termine in questo caso bisognerà procedere in fretta e dunque è possibile che venga calendarizzato già a metà gennaio. Si procederà in base all’articolo 61 della Costituzione sugli «atti urgenti e indifferibili». Saranno prorogate le missioni già in corso e si aggiungerà quella per l’invio del contingente in Niger.
I 470 soldatiI primi a partire saranno i militari del Genio che si occuperanno del quartier generale e delle altre necessità primarie. Sono 120 i soldati inseriti nel primo contingente che dovrebbe stabilirsi nel Sahel entro i primi di marzo, mentre per la fine dell’anno si arriverà «fino ad un massimo di 470 unità, per una media di impiego di circa 250 unità. L’Esercito schiererà «addestratori, sanitari, genio militare, unità di supporto, unità di protezione». I mezzi terrestri a disposizione saranno 120 oltre a due aerei da ricognizione. Lo Stato maggiore sta analizzando ogni necessità in accordo con gli altri Stati che già si trovano nell’area, vale a dire Stati Uniti, Francia, Germania e i Paesi africani. 
La tatticaLe resistenze dei comandi militari hanno finora impedito che si decretasse il ritiro del contingente dall’Iraq, ma la questione rimane aperta. E infatti all’invio dei soldati in Niger si affiancherà il progressivo rientro di quelli che sono tuttora impegnati in Afghanistan e gli altri che si occupano della sorveglianza della diga di Mosul. Anche tenendo conto che quella zona può diventare rischiosa per lo scontro tra forze governative e peshmerga. Nei colloqui avuti con Francia e Germania è stato ribadito come la scelta di andare in Sahel entrando a far parte di quella coalizione si trasforma «nel primo sviluppo di una concreta strategia di difesa europea».
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roma Quello di domani sarà il Consiglio dei ministri numero 65 della XVII Legislatura. L’ultimo del governo Gentiloni. Servirà per decidere l’invio di 470 soldati italiani in Niger. Una missione, ha detto il premier Paolo Gentiloni, «per sconfiggere il traffico di esseri umani e il terrorismo», perché «l’Italia ha l’obiettivo di costruire dialogo, amicizia e pace nel Mediterraneo e nel mondo».
Sarà l’ultimo atto del governo, ma rischia di trasformarsi anche nell’ennesimo scontro all’interno della sinistra, con Liberi e uguali che parla di «brutto regalo sotto l’albero» e accusa il ministro dell’Interno Marco Minniti di «non aver brillato per trasparenza».
Domani Gentiloni terrà anche la tradizionale conferenza stampa di fine anno e concluderà così il suo esecutivo. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si avvia a sciogliere le Camere già domani pomeriggio, il che prelude alla fine della legislatura e all’indizione di nuove elezioni. Il 4 marzo è la data più probabile visto che, per la Costituzione, «le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti».
Fino ad allora però, il governo Gentiloni dovrebbe restare in carica per gli affari correnti, tra cui anche il voto del Parlamento sulle truppe italiane in Niger. Una scelta dell’ultimo minuto che però non piace a molti. «Non serve» per il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli (Lega) che invita il governo a «usare quei soldi per pattugliare i nostri territori e mari». Mentre Pippo Civati e Andrea Maestri di Liberi e uguali parlano di «brutto regalo sotto l’albero di Natale», senza «una discussione seria e approfondita su una questione così importante di politica estera». I 5 Stelle definiscono «priorità la lotta ai trafficanti» ma «senza sviluppo sarebbe azione sterile» e perciò «aspettiamo di conoscere le regole di ingaggio dei nostri militari».
In tutto ciò si inserisce la questione sullo Ius soli, il cui esame al Senato è saltato il 23 dicembre per mancanza del numero legale. Il presidente Grasso lo ha calendarizzato il 9 gennaio, ma di fatto ne è stata decretata la morte, visto che le Camere si scioglieranno prima. E se Lega e Forza Italia esultano, Mdp accusa il Pd di «scelta politica: ha tenuto ferma la legge sulla cittadinanza per paura di perdere consensi». E Avvenire, quotidiano dei vescovi, sentenzia: «Scelta da ignavi».