Corriere della Sera, 24 dicembre 2017
Il mistero dell’uomo senza nome. Vive in ospedale da dieci mesi
MILANO È senza gamba. Senza identità. Senza parole. Senza precedenti penali o schedature di polizia. Senza storia. E, al momento, anche senza altra prospettiva dal restare dove incredibilmente sta da 10 mesi: in un posto letto – pur non avendo bisogno di terapie – del reparto Medicina interna per acuti, VI piano, blocco B, dell’ospedale San Carlo di Milano.
A metà febbraio 2017 ve lo portò un’ambulanza chiamata da alcuni passanti impressionati da quest’uomo che si rotolava per terra sul marciapiede di piazza Frattini, zona Lorenteggio: l’unico suo modo di muoversi, avendo la gamba destra amputata all’altezza della coscia e la gamba sinistra quasi paralizzata dalle conseguenze di un ictus. Emiplegico e pure afasico, non perché privo di voce ma perché sostanzialmente incapace di esprimere a parole il proprio pensiero, pur in presenza di uno stato di coscienza tornato lucido dopo una prima fase confusionale che lo vedeva anche prendersi a schiaffi.
A lungo i medici, gli infermieri e i mediatori culturali dell’ospedale non riescono a scalfire l’enigma. Fino a quando ci si mette il caso e, nella stanza di ospedale, entra la badante romena di uno degli altri tre pazienti. A quell’idioma l’uomo sembra illuminarsi. Seppure molto a fatica, da allora chi si rapporta ai suoi fonemi ritiene in effetti di cogliere che l’uomo cerchi di dire di essere nato un 2 gennaio nella zona di Bucarest, di avere circa 50 anni, di chiamarsi forse Iorge, e di essere stato sfruttato come mendicante.
È dunque probabile che quell’auto-ruzzolamento di febbraio fosse stato il suo modo di attirare l’attenzione e «evadere» dal racket delle elemosine gestito da bande (periodicamente colpite da inchieste) che con i furgoni la mattina scaricano ai semafori e la sera passano a riprendere disabili fisici o psichici costretti a mendicare. Non a caso, nei primi giorni, al passaggio del primario Marco Parodi, il riflesso dell’uomo era aggrapparsi forte al letto, per la paura di essere ributtato in strada. È l’ultima cosa che l’ospedale si sogna di fare, anche se un posto letto (occupato da mesi senza bisogno terapeutico) è prezioso sia come disponibilità per altri pazienti sia come costo. Ma è l’impasse burocratica a votare l’ospedale a un permanente ruolo di ammortizzatore sociale. La polizia viene in corsia a fotosegnalare l’uomo e prendergli le impronte, ma non trova alcuna corrispondenza in archivio. Sembra un fantasma mai prima «agganciato» anche dall’ufficio stranieri e dai servizi sociali del Comune di Milano, che sta facendo approfondimenti giuridici per trovargli una collocazione, così come la Regione sta valutando un decreto per spostarlo in una struttura meno costosa. E anche quando affiora la «pista» di Bucarest, il Consolato della Romania risponde che nulla (impronte, nomi abbozzati, archivi di polizie e carceri, perfino tatuaggi) permetterebbe di identificare l’uomo e riconoscerlo quale proprio cittadino.
Nel frattempo l’uomo senza gamba, senza parole e senza storia, è diventato una presenza ormai «di casa» in reparto per gli altri pazienti e per i sanitari. Tra i quali tende sempre a rifiutare la sedia a rotelle: preferisce, per muoversi in corridoio, rotolarsi a carponi su stesso. Come fece per «evadere» dalla «prigione» del suo marciapiede.