la Repubblica, 24 dicembre 2017
Pari opportunità, uomini e donne uguali nella teoria
Indossava l’abito della mamma, perché di eleganti non ne aveva. Teresa Mattei – la partigiana Chicchi, ebrea toscana, filosofa, 25 anni – era in prima fila quel 22 dicembre 1947. Quando Umberto Terracini, presidente della Costituente, consegna il testo della Costituzione appena approvato dall’Assemblea al Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola. Era incinta. E il segretario del Pci, il partito che l’aveva candidata, mal tollerava la situazione. «Togliatti considerava disdicevole che una donna in attesa e non sposata facesse parte della Costituente», racconta Marina Calloni, professoressa di Filosofia politica e sociale all’università Bicocca di Milano.
«Ma nonostante le pressioni lei rifiutò l’aborto. “Questo figlio lo voglio e me lo tengo”, gli rispose.
“Sarò la prima ragazza madre della Costituente”». Così fu.Le donne in quell’assemblea uscita dalle urne del 2 giugno1946 erano solo 21 su 556. Appena 5 nella Commissione dei 75 incaricata di scrivere la nuova Costituzione. Oltre a Mattei, Nilde Iotti, Maria Federici, Teresa Noce, Lina Merlin. Il loro apporto fu decisivo. L’articolo 3 – uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso – e l’articolo 51 – parità di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive – portano le loro impronte. «Eppure fino al 1963 rimangono inattuati, se si pensa che le donne non potevano accedere alla magistratura», ricorda Calloni. Un cambio di passo si registra nel 2003, con la modifica dell’articolo 51. Si introduce il principio di parità formale. Ma per quella sostanziale si deve ancora attendere. A settant’anni di distanza, la legislatura che sta per finire porta con sé il record assoluto di elette, il 30% circa sia alla Camera che al Senato (286 su 945), quasi il 40% nel Parlamento europeo. Nei consigli regionali gli scranni rosa sono il 18% (dal 10% del 2001) ma con forti differenze: 30% in Emilia e Toscana, zero in Basilicata. Così in quelli comunali: 28%, ma nelle grandi città si scende al 22%. In magistratura c’è il sorpasso: 52% donne, contro il 6% degli anni Sessanta. Eppure qualcosa ancora non va. Quando dai numeri si passa al potere, alle cariche che contano, ecco qui le donne evaporano. Non solo non c’è mai stata una donna presidente della Repubblica, del Senato o del Consiglio. Ma neanche alla guida delle Authority. O degli organismi economici. Le sindache sono mille su 8 mila. E quelle nelle grandi città, dopo Iervolino a Napoli e Moratti a Milano, sono una rarità.
Roma e Torino hanno sfatato il tabù solo nel 2016. E giusto in tre hanno guidato Montecitorio: Iotti, Pivetti e Boldrini. In Consulta si contano 3 giudici donna su 15. E appena 5 nella storia. Solo due donne governatrici: Serracchiani in Friuli e Marini in Umbria. Mai nessuna segretaria di un grande partito. E le senatrici a vita? Tre in 70 anni: Ravera, Montalcini e Cattaneo. I numeri contano, ma non bastano. Il soffitto di cristallo è ancora lì. Così la lezione di Teresa Mattei.