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 2017  dicembre 24 Domenica calendario

Fumo & tasse: ora lo Stato si prende anche il vapore

Le sigarette elettroniche sono passate sotto il diretto controllo del Monopolio di Stato, esattamente come accade da sempre per il tabacco. Non importa se sono fatte di vapore, la legge dice che si può tassare anche quello. E così sta per avere inizio una guerra fatta di tutt’altro che aria ma combattuta a suon di leggi, sanzioni e ricorsi: da un lato lo Stato, che vuole fissare i paletti in un settore cresciuto a dismisura e finora senza regole chiare. Dall’altro le aziende delle cosiddette e-cig e i 2.500 rivenditori che, con le nuove norme, rischiano di veder andare letteralmente in fumo affari e posti di lavoro. «Una volta tanto che un mercato funziona – protestano – ci tarpano le ali proprio quando abbiamo appena spiccato il volo». In ballo ci sono tanti soldI, molti dei quali persi dalle multinazionali del tabacco (e dall’erario statale) per la nuova concorrenza. La moda degli svapo genera infatti circa 300 milioni di introiti all’anno e ha sedotto un popolo di 1,5 milioni di persone, tra ex tabagisti e nuovi adepti: il mercato è cresciuto prima ancora che si facesse in tempo a stabilire un minimo di regole per garantire ordine e concorrenza. Ora, dopo anni di negozi e-cig spuntati come funghi e vendite on line senza limite (e per un po’ senza tassazione), è il momento delle normative, così come è accaduto per altre nuove realtà, come Uber o Airbnb, che hanno creato scompiglio nei settori di trasporti e turismo ma che sono state regolamentate perchè non si muovessero su corsie preferenziali.
Ora tocca all’e-cig. Nella manovra di Governo appena approvata è stato deciso che dal 2018 le ricariche per svapare non potranno più essere vendute on line ma solo nelle tabaccherie e nei punti vendita autorizzati dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Via web invece si potrà continuare a vendere solamente i dispositivi per inalare, sia quelli «usa e getta», sia quelli più sofisticati, diventati negli ultimi anni veri e propri oggetti da collezione da parte del popolo degli amanti del vapore. Per chi non rispetta le regole scatteranno sanzioni salate, che possono arrivare fino a 40mila euro.
La sfida lanciata dall’Agenzia delle dogane è controllare che i «liquidi» aromatizzati da inalare non vengano venduti on line. Un’impresa dai risultati non immediati, così come quella di tappare col coperchio un settore già esploso, soprattutto a suon di ordinazioni su Amazon e affini.
OCCHIO AI CINESI
L’obbiettivo del Monopolio è anche fare pulizia e mettere fuori gioco quelli che vendono prodotti di dubbia provenienza e scarsa qualità, cinesi in testa. Tuttavia c’è il rischio di un effetto boomerang, imponendo limitazioni alle aziende italiane serie (che devono rispettare regole e cavilli burocratici) e lasciando totale libertà di manovra a quelle extra europee e extra legge (che se ne infischiano sia delle norme sia delle certificazioni sui contenuti dei flaconcini da svapare). «Questa legge non mette il rallentatore al nostro settore, ma lo ferma del tutto. Ci stanno ammazzando» sbotta Carlo Alberto Menon, fondatore del marchio Oxygène e produttore di sofisticati elementi di titanio per gli svapatori. E soprattutto, a detta di quasi tutti gli operatori del settore, le nuove normative non fermeranno affatto la concorrenza sleale dei cinesi, né nella vendita dei dispositivi per inalare né nel commercio dei flaconcini di ricarica. «Lo Stato non è in grado di controllare il mercato e rischia di concedere più spazio all’illegalità anziché fermarla – spiega Renzo Cattaneo, titolare della BlendFeel, uno dei marchi italiani più noti di e-liquid -. Di contro, noi produttori italiani non riusciamo nemmeno a formulare con certezza un piano aziendale. Le sigarette tradizionali sono nate sotto il Monopolio. Invece cambiare le regole in corsa è molto dannoso per un settore con un potenziale così alto». 
LA CONDANNA DEI GIUDICI
Oltre alle restrizioni che scatteranno tra pochi giorni, c’è un altro macigno che pesa sulla testa delle sigarette elettroniche: la tassa sui liquidi da inalazione, altro capitolo che ha creato una confusione enorme tra i produttori. L’imposta è stata fissata in circa 5 euro per ogni 10 ml di ricarica. Poi si pensava dovesse essere limitata solo ai flaconi contenenti nicotina e non estesa anche a quelli fatti di soli aromi. Alla fine, a scanso di ogni dubbio, si è deciso che la tassa ci sarà per tutti. A formulare la sentenza è stata la Corte Costituzionale, respingendo un ricorso presentato al Tar del Lazio. Cinque euro di tassa a ricarica significa fissare un’imposta quattro volte più alta rispetto al reale valore del contenuto dei flaconi. Tra le motivazioni, la Corte spiega come la sigaretta elettronica sia equiparabile alla sigaretta tradizionale (anche quando non contiene nicotina). Nel dubbio sulla sua pericolosità o meno, i giudici puntano a disincentivarla «in nome del principio di precauzione, nei confronti di prodotti che potrebbero costituire un tramite verso il tabacco». E precisano che l’imposta ha come «finalità primaria il recupero di un’entrata erariale (l’accisa sui tabacchi lavorati) erosa dal mercato delle sigarette elettroniche». Di fatto, i mancati introiti per le casse statali non più garantiti per intero dalle multinazionali del tabacco «rientrano dalla finestra» con la tassazione ai principali competitors. Conseguenza diretta della sentenza è che una marea di produttori e-cig, per mettersi in regola, dovranno pagare le imposte non corrisposte, in ragione della sospensiva, e dovranno pure farlo in fretta visto che il Governo ha già messo a bilancio i soldi da riscuotere che, in base a un calcolo approssimativo, si articoleranno in cartelle esattoriali da centinaia di milioni di euro. Nonostante gli emendamenti presentati, il Governo ha escluso ogni forma di riduzione e rateizzazione del debito pregresso delle aziende, escludendo ogni ipotesi di rimodulazione dell’imposta, sia per i liquidi con nicotina sia per quelli senza nicotina. 
LA TASSA SULLA GLICERINA
La sentenza solleva le ire della nuova «lobby» del vaping che giudica folle tassare i prodotti solo perché vengono venduti nei negozi specializzati. Giusto per capire, gli stessi ingredienti dei flaconcini da inalare sono in libera vendita in una quantità infinita di prodotti di uso comune (dallo sciroppo per la tosse agli aromi alimentari) e non hanno nessuna imposizione fiscale se comprati in una farmacia, in un negozio di alimentari o in un’erboristeria. «Paradossalmente – provocano gli svapatori – questa tassa dovrebbe essere estesa anche ai saponi, alle creme. E poi è assurdo che queste sostanze vengano sottoposte a regole monopolistiche al pari del tabacco, di cui sono comprovati i danni alla salute. Non ne sussistono i presupposti, tant’è che vengono definiti prodotti a rischio ridotto. Gli aromi e la glicerina non hanno limiti se vengono commercializzate nelle gastronomie, nelle pasticcerie o nelle erboristerie. Se invece vengono miscelati tra loro nei flaconcini da inalare sono automaticamente soggetti a una tassa abnorme». 
In realtà sulla non nocività delle ricariche, soprattutto quelle che contengono nicotina, il dibattito della comunità scientifica è tutt’altro che risolto: un anno fa ci fu la denuncia del gruppo di controllo del tabacco dell’Oms, che aveva accusato la sigaretta elettronica di essere dannosa come quelle di tabacco. Ora la Società di medicina respiratoria sostiene che l’e-cig può essere anche più dannosa di quella vera e mette in dubbio anche la sua efficacia come alternativa al fumo. 
LA MEDIAZIONE SULLA NICOTINA
Qualche associazione di produttori e commercianti ha provato ad avanzare al Governo proposte per cercare un compromesso: «Va bene la tassa, ma solo sulle ricariche che contengono anche nicotina». In teoria il ragionamento non fa una piega: tassare la nicotina avrebbe lo scopo, sacrosanto, di disincentivarla visto che, quella sì, induce al tabagismo. Ma l’avance si è tradotta in un buco nell’acqua e probabilmente mai verrà accolta. Il motivo? «Sarebbe un autogol incredibile per lo Stato che ci perderebbe un sacco di soldi» spiega Renzo Cattaneo. Già, perché tassando la quantità di nicotina ( e non più il tabacco), lo Stato dovrebbe rivedere anche l’imposta sulle sigarette e incasserebbe meno rispetto ai 4-5 euro al pacchetto (2,79 se si esclude l’Iva) di adesso. Altro cavallo di battaglia del mondo del vaping si basa però su un altro ragionamento altrettanto lapalissiano: «Se lo Stato ci costringe a chiudere, oltre a mettere a rischio 30mila posti di lavoro, da noi non incasserà più nemmeno un euro. Per riscuotere le imposte, è necessario che le aziende esistano». Eppure non sembra così semplice. I primi a rischiare grosso nella nuova rivoluzione in arrivo sono proprio i negozianti: 2.500 esercenti che hanno creduto nelle sigarette elettroniche e si sono specializzati nella vendita delle ricariche, con le loro mille varietà di aromi, e dei dispositivi per svapare. A breve potrebbero chiudere, soffocati dai 60mila tabaccai piglia-tutto.