Il Messaggero, 22 dicembre 2017
Intervista a Lavinia Biagiotti
L’abito che non c’è continuerà a cercarlo, come faceva sua madre e come si conviene a ogni stilista sognatore. L’isola però l’ha trovata, col torrione dell’anno Mille, le grottesche del Cinquecento, i prati. Nel paradiso dove visse perfino Galileo, Lavinia Biagiotti Cigna sfoglia «libri e rose» e vive le stagioni «che invece la moda tende a possedere». Tra i piedi le girano i cani, il trovatello Ryder (come la Coppa di golf che si svolgerà qui nel 2022) e il maremmano Baby (bianco come il colore che da sempre contraddistingue la griffe). Alta, slanciata, con gli occhi grandi e i modi cortesi, Lavinia potrebbe essere una castellana d’altri tempi se non vivesse fermamente nei nostri, «coi piedi nella terra», dice, e la grinta da giovane imprenditrice che adesso deve fare da sé. Il 26 maggio é mancata sua mamma Laura, il 24 settembre ha sfilato a Milano, il 12 dicembre ha inaugurato il negozio in via Belsiana.
Il tempo può essere amico e nemico, Lavinia sembra portarlo per mano. Vive e lavora nel castello Marco Simone a Guidonia, dividendosi con gli uffici in via Condotti; é Presidente e Ceo del Gruppo Biagiotti e consigliere della Camera nazionale della moda italiana; l’altra mattina sistemava sull’albero le palline di Natale che ogni anno le arrivano in dono dalla Casa Bianca. «Questa con l’angelo è dell’81, la prima, ce la mandò Reagan, poi Bush, Obama, da qualche parte ci dev’essere anche Trump. Da mia madre ho preso l’attenzione per le piccole cose, i dettagli sono fondamentali nel nostro mestiere. E non bisogna perdere i piaceri, in questa azienda c’è un gran traffico di cioccolatini...». Tra le sue passioni Roma, il rosso, l’arte specialmente, con la collezione di oltre duecento opere di Giacomo Balla: il Genio futurista due anni fa lo hanno prestato all’Expo di Milano.
Sua nonna Delia fondò l’azienda nel 65, i suoi genitori l’hanno trasformata in un gioiello del Made in Italy, lei non ha mai pensato di fare altro?
«Volevo diventare medico, poi mi sono iscritta a Lettere, ma a 18 anni già lavoravo. Diciamo che era destino, sono nata il 12 ottobre del 78, giorno di sfilata, l’unica che mia madre saltò. Era destino soprattutto la nostra unione, lei non c’è più ma io continuo a sentirmi in famiglia».
Un rapporto simbiotico?
«Grande rispetto e stima reciproca. Fin da piccola i miei mi hanno sempre chiesto: tu cosa ne pensi? Ho lavorato per vent’anni con mia madre facendo scelte indipendenti. Siamo due donne diverse, continuo a pensare a due donne. L’elemento senior più quello junior sono stati la nostra forza».
Ma cos’è l’abito per una donna?
«Uno dei nostri superpoteri, dobbiamo coltivarlo. L’abito è quanto di più teatrale esista, Lady Gaga ne è l’esempio, regala sicurezza, aiuta a trasformarsi. È un alleato delle donne, nessuna può essere vittima del proprio vestito».
Belle parole, ma l’abito dura così poco...
«E perché? Io esalto la metamorfosi, il cambiamento, ma questo non vuol dire buttare. Meglio includere, no? Noi restauriamo: se una cliente arriva con un nostro abito usato cerchiamo di rinnovarlo, magari c’è un ricamo da rifilare, una lunghezza da aggiornare, un lavaggio speciale per il cashmere. Ed eccomi di nuovo in versione medico...».
Restaura vestiti ma pure monumenti.
«Siamo stati i primi. Nel 1998 abbiamo finanziato il restauro della Scala Cordonata del Campidoglio, anzi prima ancora, nel 96, il sipario della Fenice a Venezia distrutto dall’incendio, poi le fontane di piazza Farnese».
Altri progetti?
«Stiamo valutando».
Da cosa nasce una collezione?
«Dal dialogo con la realtà. L’ultima è dedicata al viaggio: l’ho pensata con mia madre, l’ho realizzata da sola. Abbiamo creato una stampa con le cartoline degli anni 20 e 30 per gli abiti, i trench, i tailleur, i pantaloni. Altre stampe hanno i monumenti di Roma. Ma il vero viaggio è dentro se stesse: mia madre diceva sempre che la bellezza di Roma si riflette in chi la osserva».
Dunque cosa ci sarà nel guardaroba della prossima primavera estate?
«Sempre il bianco, luminosissimo, grande alleato delle donne. Poi il rosa sorbetto, ma coltivato, non baby, che restituisce femminilità senza essere caramelloso. Il rosso, sempre. Poi le stratificazioni. E i dettagli preziosi: colli alti in tulle con cristalli, un capo che non pesa nulla, puoi piegarlo, metterlo in borsa e regala tocchi di luce. Gli abiti diventano quasi accessori».
Sono per tutte le donne?
«Se l’abito funziona solo sulla modella, c’è un problema. Noi li viviamo da dentro, facciamo molti abiti senza taglia e senza età».
Ci vuole davvero un fisico bestiale? Per fare la moda, oltre che per indossarla?
«Ogni sei mesi cambi pelle, devi fare 30 collezioni diverse, tra donna, occhiali, borse, bambino, casa... Magari cambi idea 24 ore prima della sfilata, ora lavoro sul 2018, ma anche su alcuni progetti del 2019. Studio la notte. È dura quando hai la responsabilità creativa e finanziaria, ma mi sento di condividere il coraggio di impresa delle aziende italiane».
Non si stanca mai?
«Mi ricarico nella natura e con l’arte».
E lo sport? Ha portato la torcia all’Olimpiade di Torino nel 2006, da Rosolino alla Pellegrini avete tanti campioni testimonial, poi c’è la Ryder Cup in arrivo.
«Amo lo sport, lo guardo e lo faccio. Soprattutto il nuoto e la corsa. Prendo lezioni di balli latini. Lo sport è vicinissimo alla moda, ti prepari per mesi e rischi di bruciare tutto in pochi minuti».
Figli?
«Ne vorrei, ma non in questo momento, ci vuole lo spazio giusto. Mia madre ha comprato questo posto quando era incinta, voleva che crescessi qui».
I social?
«Sono un ponte tra noi e le donne, un filo diretto. Tante ci scrivono, di profumi oltre che di vestiti. La nostra fragranza Roma compie 30 anni, un bel traguardo, considerando che la vita media di un profumo è 18-24 mesi e ogni anno se ne lanciano 400 nuovi. Mia madre lo ha creato nell’88 proprio in questa stanza, dove conservo la sua collezione di profumi, quel disegno alla parete è mio, l’ho fatto a 10 anni copiando la boccetta mentre lei lavorava».
In trent’anni la confezione è rimasta la stessa, a forma di colonna, perché?
«La fragranza dura un giorno, la colonna per l’eternità. Sono le radici e le ali, la storia e l’effimero».
Tante colonne anche nel nuovo store in via Belsiana.
«Lì va in scena l’ossimoro della moda, il fast convive con lo slow, sotto scegli un profumo, una borsa, al piano di sopra c’è un’atmosfera più ovattata, servizi personalizzati. C’è perfino un angolo per l’uomo, che può bere un Campari mentre lei fa shopping. Ci sono le sarte, organizzeremo corsi di tricot per lui e per lei e di disegno per le bambine nello spazio Dolls».
Lavinia è così, usa ancora il plurale e spiega che il suo non sarà mai un one woman show, beve acqua e non caffè, («mangio sanissimo, ho l’orto e faccio l’olio») poi si alza e consulta la sua agenda FuturBalla: «È quella di mamma, a maggio ho cominciato a usarla io». E come lei, c’è da giurarci, nel backstage delle sfilate metterà il cartello smile per far sorridere le ragazze in passerella.