La Stampa, 22 dicembre 2017
Nella nostra Costituzione l’antidoto al declino. Approvata il 22 dicembre di 70 anni fa, per durare nel tempo ma consentire un processo di revisione
È con profonda rinnovata emozione che si legge – a distanza di settant’anni – il resoconto della seduta del 22 dicembre 1947.
Concludeva i lavori dell’Assemblea Costituente approvando il testo della Costituzione repubblicana. Innanzitutto perché fu in quel giorno che essa nacque; per poi venire «battezzata» il 27 dicembre con la promulgazione per legge e cominciare infine il suo cammino il 1° gennaio del 1948 con l’entrata in vigore.
L’emozione è dettata al tempo stesso dagli elevatissimi discorsi del presidente della «Commissione per la Costituzione» Meuccio Ruini e del presidente dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini (la seduta si concluse con la solenne perorazione di Vittorio Emanuele Orlando). Ruini diede innanzitutto il senso del clima cui si era ispirato il lungo lavoro di elaborazione del testo: «Un compito difficile e faticoso, il Comitato di redazione è apparso molte volte quasi una mistica unità; i suoi membri si sono divisi e hanno combattuto fra loro; ma dopo tutto vi è stato e si rivela oggi uno spirito comune, uno sforzo di unità sostanziale; e oggi il Comitato compatto sente la responsabilità e la solidarietà del suo lavoro, ed è orgoglioso di averlo portato a termine».
Ruini fissò al tempo stesso alcuni degli elementi cardinali per un giudizio sulla Costituzione: la sua prospettiva di lunga durata nel tempo e insieme la previsione che essa venisse «completata e adattata alle esigenze dell’esperienza storica». «Costituzione rigida» dunque, ma consentendo «un processo di revisione» che richiedesse, sì, «meditata riflessione», ma senza cristallizzare la Carta «in una statica immobilità». Non dimentichiamolo, questa rimane una linea-guida irrinunciabile da riproporre anche dopo il fallimento del tentativo di riforma del 2016.
In effetti Ruini stesso parlò delle «gravi difficoltà» che aveva presentato la definizione della seconda parte della Costituzione sull’ordinamento della Repubblica, pur rimettendo il sistema elettorale alla legge ordinaria. Infine, si delineò la funzione di un Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento collegandolo all’esigenza di evitare una «soverchia instabilità dei governi», quasi a garantire una suprema ancora di continuità.
Emozionante fu e resta quel che seguì: la indizione dello scrutinio segreto sul testo della Costituzione e quindi l’annuncio del risultato di approvazione a schiacciante maggioranza (453 su 515 votanti). Ebbe a dire il presidente Terracini della «profonda commozione» con la quale, secondo la formula abituale, «da questo seggio, nei mesi passati, ho cento e cento volte annunciato all’Assemblea il risultato delle sue votazioni». Ed egli quindi parlò dei momenti difficili nei quali aveva sentito pesare sui lavori dell’Assemblea l’ostilità diffamatoria dei «detriti del regime crollato o torbidi avventurieri di ogni congiuntura». Quei momenti erano stati superati, si erano sconfitti «calunnie, accuse e sospetti» nei confronti dello stesso istituto, la Carta costituzionale, «emblema e cuore della restaurata democrazia».
Ci si era riusciti attraverso diciotto mesi di «lavoro instancabile» approdato a un testo di Costituzione che certo non poteva dare risposte a tante aspettative e legittime istanze di progresso e di giustizia, ma fissava principi di riforma e apprestava strumenti istituzionali e giuridici volti a soddisfarle. Anche la creazione di una Corte Costituzionale avrebbe fatto da presidio del rispetto della Costituzione, «della difesa dei diritti e delle libertà fondamentali, ma non a preclusione dei progressi ulteriori del popolo italiano verso una sempre maggiore dignità dell’uomo, del cittadino, del lavoratore». A dare pieno riconoscimento di quel «lavoro instancabile» concorse nella stessa storica seduta il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il cui partito e i cui costituzionalisti avevano dato un apporto culturale e politico preziosissimo.
Ancora un motivo di emozione è nel passaggio in cui Terracini sobriamente rende omaggio «alla memoria di quelli che, cadendo nella lotta contro il fascismo e contro i tedeschi, pagarono per tutto il popolo italiano il tragico e generoso prezzo per la nostra libertà e per la nostra indipendenza»: tra quelli vi era in prima persona Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea, che aveva alle spalle 17 anni di carcere e di confino.
Anche prima dello scadere dei 70 anni da quel giorno abbiamo potuto in precedenti occasioni ripercorrere il cammino compiuto dalla nostra Costituzione, in particolare dinanzi a profonde trasformazioni, soprattutto quella segnata dal progetto europeo, un cammino cui ha grandemente concorso la giurisprudenza della Corte Costituzionale, nella funzione sua propria e per la sua apertura a nuove realtà ed esigenze.
Ma credo sia ancora oggi essenziale sentire l’importanza e la vitalità della Costituzione come «tavola di principi e di valori, di istituti e di doveri, di regole e di equilibri, come base dunque del nostro stare insieme, animando una competizione democratica senza mettere a repentaglio il bene comune», come dissi per il 60° anniversario della Carta. È questa condivisione e corresponsabilità la sola valida risposta da costruire in Italia al declino, alla frammentazione, alla degenerazione demagogica della politica.