Il Messaggero, 22 dicembre 2017
Malati uccisi in ambulanza e venduti alle pompe funebri
PALERMO I soldi che intascavano per ogni defunto se li spartivano: parte andava al clan, parte al killer che la cosca aveva piazzato sull’ambulanza. «L’ambulanza della morte» l’hanno chiamata i magistrati di Catania che hanno scoperto l’ultimo business di Cosa nostra. «La gente non moriva per mano di Dio» ha raccontato agli inquirenti il pentito, che ha svelato i particolari di una incredibile storia di morte e soldi e ha permesso ai carabinieri di arrestare, per triplice omicidio aggravato, Davide Garofalo, un barelliere di 42 anni vicino alle cosche Mazzaglia-Toscano-Tomasello e Santangelo e di indagare altre due persone.
LA RICOSTRUZIONE
Il racconto del collaboratore di giustizia potrebbe essere la trama di un film: alcuni malati terminali, a cui restava poco da vivere, sarebbero stati uccisi, attraverso un’iniezione di aria in vena, da un uomo dei boss mentre venivano portati a casa in ambulanza. I casi accertati al momento sono tre: una donna e due uomini, uno dei quali di 55 anni. Ma le storie al vaglio della Procura sono una cinquantina e riguardano decessi avvenuti tra il 2012 e il 2016. Di questi, sette desterebbero maggiori sospetti.
La vittima «era in agonia e sarebbe deceduta lo stesso – ha raccontato il pentito – e così gli iniettavano dell’aria nel sangue con l’agocannula mentre lo riportavano in famiglia e il malato moriva per embolia gassosa».
Nessuno dei familiari se ne sarebbe accorto. Ai parenti venivano chiesti fino a 300 euro per la vestizione del defunto di cui si occupava il barelliere killer: il denaro andava alla mafia che poi faceva un regalino all’assassino.
LA RIVELAZIONE
«Erano i boss a mettere i loro uomini sull’ambulanza» ha spiegato il collaboratore di giustizia, che ha fatto le prime rivelazioni durante un’intervista a Le Iene e si è poi rivolto ai magistrati catanesi. «Mi sentivo in colpa» ha raccontato, «perché una delle vittime era il padre di un mio amico».
L’INDAGINE
Da anni i carabinieri e la Procura indagano sui clan coinvolti nella vicenda.
«L’azione dei militari dell’Arma sul territorio ha portato a numerosi arresti di affiliati e boss della zona e ha agevolato quest’inchiesta: i testimoni hanno visto molte delle persone coinvolte finalmente in carcere e hanno avuto meno paura e maggiore fiducia nelle istituzioni» ha commentato il procuratore aggiunto Francesco Puleio che, col procuratore Carmelo Zuccaro e il sostituto Andrea Bonomo, ha coordinato le indagini.
Oltre al pentito, dunque, a dare un contributo agli investigatori è stato anche il racconto di testimoni e dei parenti delle vittime che inizialmente non avevano avuto alcun sospetto. Ed è venuto fuori che i malati, una volta dimessi viste le condizioni disperate, sarebbero stati uccisi durante il trasporto con ambulanza privata dall’ospedale, in prevalenza quello di Biancavilla, alla loro abitazione.
L’AGGRAVANTE
A fare l’iniezione letale sarebbe stato Garofalo, presente sull’ambulanza in qualità di addetto ai trasporti. Il resto del personale sanitario sarebbe stato all’oscuro di tutto, mentre un altro barelliere e un autista sono indagati perché sarebbero stati complici del killer.
Al momento della consegna della salma ai familiari, veniva detto loro che il decesso era avvenuto per cause naturali durante il trasporto. Agli addetti all’ambulanza che si proponevano per svolgere il servizio della vestizione dei defunti andava il denaro da dividere con il clan.
I magistrati, che hanno parlato di «disprezzo totale della dignità e della vita umana», hanno contestato a Garofalo l’aggravante dell’agevolazione mafiosa e «l’avere agito con crudeltà verso le vittime, approfittando delle circostanze di tempo e di luogo tale da ostacolare la pubblica e privata difesa, e di avere commesso il fatto con abuso di prestazione d’opera».