Corriere della Sera, 22 dicembre 2017
per l’emancipazione della donna non serve la censura
Dopo Balthus ed Egon Schiele, Michelangelo Antonioni ed Emily Ratajkowski. Il caso Weinstein ha innescato una rilettura delle modalità di rappresentazione del corpo della donna che intreccia linguaggi e mondi lontani. Un rimescolamento totale dov’è facile perdersi. In questi giorni in Francia s’incrociano il dibattito su Blow-Up, il film del 1966 Palma d’oro a Cannes ispirato al racconto di Julio Cortázar, e la polemica sulle pose sexy della modella americana Emily Ratajkowski. Da un lato la riflessione pubblicata dal quotidiano Libération, storico riferimento della sinistra, della professoressa Laure Murat sulla «feticizzazione del bello che cancella l’orrore» della violenza nel capolavoro di Antonioni e nel racconto cinematografico. Dall’altro un recente video della 26enne Ratajkowski, richiamata all’ordine dall’ex première dame Carla Bruni Sarkozy per essersi dimenata in lingerie tra sugo e spaghetti con annessa professione di fede femminista: «Finché ho potere sulla mia sessualità sono libera, la mia vita è alle mie condizioni». Il corpo della donna non ha mai smesso di essere un’ossessione, il punto di caduta di qualsiasi battaglia per la dignità. Molte discussioni ancora verranno sull’opportunità di velare, rimodulare espressioni più o meno artistiche che oggi come ieri lo riducono a oggetto. Ma la via dell’emancipazione non passa dalla censura, piuttosto dallo sguardo critico e dal coraggio di addentrarsi nelle ambiguità della rappresentazione che molto rivelano delle nostre gabbie culturali. La provocazione, per sua natura estrema, può smuovere assetti secolari. In Egitto, per un video simile a quello di Emily, la cantante Shyma è stata appena condannata a due anni di carcere per incitamento alla dissolutezza. La Russia quest’anno ha depenalizzato la violenza domestica. Le conquiste vanno difese sempre e da capo, finché non saranno per tutte.