Corriere della Sera, 22 dicembre 2017
Il Papa: «Basta complotti, sono un cancro»
CITTÀ DEL VATICANO La Curia romana è «un’istituzione antica e complessa» e la sua riforma richiede «pazienza e delicatezza», fa notare Francesco con una battuta ottocentesca di monsignor De Mérode: «Fare le riforme a Roma è come pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti». Cardinali e vescovi sorridono, ma è solo l’inizio.
Nel tradizionale e ormai temuto discorso natalizio alla Curia, il Papa non la manda a dire a chi gli rema contro. La Curia, spiega, è legata all’universalità e al primato «diaconale» del vescovo di Roma, «servo dei servi di Dio», e per sua stessa natura è rivolta «ad extra», all’esterno – costruire ponti tra le nazioni, dialogare con le altre religioni – perché «una Curia chiusa in se stessa tradirebbe l’obbiettivo della sua esistenza e cadrebbe nell’autoreferenzialità, condannandosi all’autodistruzione».
Ed è qui che il tono di Francesco si fa severo: «Questo è molto importante per superare quella logica squilibrata e degenere dei complotti o delle piccole cerchie che in realtà rappresentano – nonostante tutte le giustificazioni e buone intenzioni – un cancro che porta all’autoreferenzialità e si infiltra anche negli organismi ecclesiastici in quanto tali, in particolare nelle persone che vi operano».
Ma non basta. Bergoglio alza lo sguardo, «permettetemi due parole su un altro pericolo», e parla «dei traditori di fiducia o degli approfittatori della maternità della Chiesa, ossia le persone che vengono selezionate accuratamente per dare maggior vigore al corpo e alla riforma, ma – non comprendendo l’elevatezza della loro responsabilità – si lasciano corrompere dall’ambizione o dalla vanagloria e, quando vengono delicatamente allontanate, si autodichiarano erroneamente martiri del sistema, del “Papa non informato”, della “vecchia guardia”, invece di recitare il mea culpa». Vi sono poi altre persone «che ancora operano nella Curia» e «alle quali si dà tutto il tempo per riprendere la giusta via, nella speranza che trovino nella pazienza della Chiesa un’opportunità per convertirsi e non per approfittarsene». Tutto questo, peraltro, «senza dimenticare la stragrande parte di persone fedeli che vi lavorano con lodevole impegno, fedeltà, competenza, dedizione e anche tanta santità».
Si tratta di «vedere l’essenziale», essere coerenti. Più tardi, rivolgendosi ai dipendenti vaticani, il Papadomanda «perdono e scusa» perché «non sempre noi, fauna clericale, diamo il buon esempio», chiede «non ci siano più lavoratori precari» e scandisce serio: «Non voglio lavoro in nero in Vaticano».