Corriere della Sera, 21 dicembre 2017
Nel cestino i disegni di Flaiano
«Alle cinque della sera/ nella piazza di Matera/ da una millecento lusso/ scende Giovannino Russo/ Che successo che carriera/ al “Corriere della Sera»». Con ammirazione e con il solito spiritaccio, quel genio di Ennio Flaiano celebrava così il successo professionale dell’amico Giovanni Russo. Il giovane Russo era arrivato a Roma, alla corte di Pannunzio, al mitico «Mondo»; era poi passato al «Messaggero» e, fino alla fine della sua carriera, al «Corriere della Sera», dove s’era in fretta imposto come grande firma con i raffinati articoli di costume e i potenti reportage di denuncia sui mali, le malefatte e le sofferenze del Mezzogiorno.
Ora quegli scritti rivivono, almeno nella ricca parte che riguarda la Roma che Russo, scomparso nello scorso settembre, aveva tanto amato e tanto raccontato, nel libro Con Flaiano e Fellini a via Veneto (Rubbettino, pagine 212, e 14). Si raccontano gli anni Cinquanta e Sessanta. È la storia di un amore. Da quando il giovanotto Giovannino s’invaghisce di una città misteriosa e labirintica come una donna dal fascino ambiguo e travolgente a quando quella donna tradisce e si perde nel vizio della speculazione edilizia, del malaffare, della miseria intellettuale. Russo ci accompagna, con i suoi articoli, attraverso tanti anni: da quelli elettrici della «Dolce vita» a quelli opachi di (quasi) oggi.
Ovviamente Flaiano è la sua guida, e anche la nostra, in questo viaggio controcorrente. Intanto Russo ci spiega: smettetela di descrivere Flaiano come un battutista, quasi un comico. Invece: aveva già intuito quello che poteva accadere (in quel Paese già crepato che era l’Italia del secondo dopoguerra). «La sua insofferenza, la sua noia esistenziale, la sua libertà interiore, erano il terreno fecondo delle sue intuizioni sulla società italiana».
Ciò detto, leggendo questo libro non si può rinunciare a divertirsi. Come si divertiva Giovannino prima, Giovanni dopo, e il dottor Russo poi. Tutti e tre hanno «strusciato» giorni e notti – più notti che giorni – via Veneto e i suoi bar, ristoranti, ritrovi. Erano covi di artisti vari: scrittori, poeti, pittori, attori, cantanti, ballerine, intellettuali, giornalisti. Politici no. Anzi, se qualcuno delle suddette categorie osava intrattenere rapporti con i politici di carriera, veniva pesantemente canzonato. Oggi, i sopravvissuti della magnifica generazione di cui Russo ha fatto parte, quando passano per via Veneto e vedono i tavolini dei bar che loro occupavano negli anni della «Dolce vita», dicono: «Li vedi quelli? Pensano di essere noi». Elencarli, i compagni di viaggio di Russo, sarebbe impossibile, troppi: l’indice dei nomi in fondo al volume ne impila circa quattrocento.
Altra ricchezza del libro è il finale fotografico con le immagini di Mario Dondero, che di quegli anni è stato, come Russo, osservatore ma anche protagonista. Manca una introduzione, giusto per spiegare che gli articoli ripubblicati sono spalmati su molti anni e con gli anni le cose cambiano, ma pazienza, il libro è bello lo stesso. Perché c’è un sacco di sorprese: Fellini che voleva fare un altro mestiere, Sofia Loren che nessun paparazzo vuole fotografare anche se, come la Fiat e le canzoni napoletane, è un prodotto che va sempre in tutto il mondo, Moravia che, gentile com’era, s’inalbera con uno dei suoi migliori amici che osa contestargli un giudizio critico su una giovane scrittrice, Maccari che faceva una palla destinata al cestino dei suoi meravigliosi disegni, Carlo Levi che soltanto passeggiando riusciva ad aprire il suo cuore e poi Pasolini, la Magnani, Brancati…