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 2017  dicembre 21 Giovedì calendario

Caso Ustica, quella notte di 37 anni fa la Nato scatenò la guerra ma nessuno lo seppe...

Più di piazza Fontana, che fu probabilmente l’alzata d’ingegno di un fascista megalomane come Franco Freda e nella quale lo Stato finì a occultare e depistare per coprire più marachelle che peccati mortali. Più della strage di Bologna, dove la ricerca scomposta e spasmodica di un capro espiatorio (perché questo furono i Nar checché ne dicano le «sentenze- che- si- rispettano- e- non- si- discutono») rispondeva a una fondato e probabilmente giustificato interesse di Stato.

Molto più del sequestro Moro, vicenda a modo suo limpida che da decenni un esercito di invstigatori amatoriali si sforza di rendere torbida. La vera storia nera italiana, pane per i denti di un James Ellroy se in Italia ci fosse, è l’ “incidente” di Ustica: 27 giugno, tra le 20.59 e le 21.05, 81 vittime nel Dc9 Itavia finito in mare e ancora oggi molti fingono di chiedersi come sia successo. I particolari in effetti sono ignoti. Le linee generali molto meno: scenario di guerra, come usa dire.

Ma a quelle 81 vittime vanno aggiunte quelle che si sono probabilmente aggiunte per coprire lo scandalo: 12 in Italia, un paio negli Usa. In molti casi si tratta certamente di decessi casuali. In alcuni altri è lecito sospettare qualcosa di più oscuro. Di certo il sospetto non era ignoto al marinaio Brian Sandlin che proprio per la paura di fare una bruttissima fine si è tenuto per 37 anni “il cecio in bocca”, o almeno così afferma e non si tratta di tesi surreale.

Quel che ha infine raccontato nel corso diAtlantide al giornalista Andrea Purgatori, che con il magistrato Rosario Priore e pochissimi altri vanta il merito di aver scoperchiato il nido di vipere riporta in un certo senso indietro le lancette, ai sospetti per lungo tempo appuntati sui Phantom americani, prima che nelle nebbie provocate ad arte da un’omertà internazionale, il ruolo dei caccia a stelle e strisce venisse rimpiazzato dai Mirage francesi. Sempre di scenario di guerra si sarebbe trattato. Sempre di uno scontro tra aerei della Nato e Mig libici, ingaggiato intorno a un aereo civile destinato a pagare il prezzo più alto e sanguinoso, si tratta. Ma Sandlin conferma ora che coinvolti nel duello aereo furono gli aerei di Washington, non quelli di Parigi.

Partivano dalla portaerei Saratoga, che non si è ancora capito bene se fosse davvero all’ancora nel Golfo di Napoli o si fosse spostata verso la Sicilia. Il marinaio accredita la seconda versione quando afferma che «mettere alla prova la Libia era la ragione per cui eravamo salpati. Eravamo coinvolti un un’operazione Nato e affiancati da una portaerei britannica e da una francese». In ogni caso da quel ponte partirono, secondo Sandlin, due Phantom in assetto da combattimento. Rientrarono con le armi scariche e i piloti raccontarono di aver abbattuto due Mig libici. Del Dc9 lui non sentì dire niente ma le facce da funerale e la consegna del massimo silenzio sulla portaerei sembrano eloquenti di per sé.
Sandlin aggiunge un’altra informazione determinante, parlando dei tracciati radar. Perché il mistero di Ustica è in buona misura quello dei tracciati radar. Farli sparire tutti non deve essere stao un gioco.

Quelli della Saratoga erano tutti spentim secondo le versioni iniziali. Per non distrubare le trasmissioni tv italiane, no per manutenzione, parola dell’ammiraglio Foley. Macché uno era rimasto in funzione e in effetti aveva registrato un traffico aereo da raccordo nell’ora di punta. Parola sempre dell’ammiraglio Foley, però qualche tempo dopo. Peccato che i tracciati siano andati perduti. Che i radar della portaerei fossero spenti è fuori dalla realtà, dice ora il marinaio Sandlin.

Di certo non erano spenti quelli di Marsala, ma vai a sapere cosa avevano registrato. La pagina con i tracciati del 27 giugno è stata recisa con estrema precisione e poi il quadernone è stato rinumerato pagina per pagina in modo da occultare il salto della pagina. Peccato. Quello di Licola era più rudimentale ma anche lì i dati venivano trascritti. Però il fascicolo si è perso. Sui tracciati di Grosseto in compenso si vedono quattro aerei a squadre di due aerei avviati verso il DC9, poi, subito dopo la caduta dell’aereo civile altri due in arrivo dalla Corsica. Però i nastri con le registrazioni del centro radar collegato a Grosseto, quello di Poggio Ballone, sono a loro volta introvabili. In servizio in quel centro c’era probabilmente ( impossibile certificarlo per quanto assurdo sembri) il maresciallo Dettori che nelle settimane seguenti era visibilmente terrorizzato, raccontava di temere per la propria vita a in effetti finì per impiccarsi, o per essere impiccato.

Erano in servizio a Grosseto, quella notte di giugno, anche gli istruttori di volo Mario Naldini e Ivo Nutarelli, entrambi colonnelli, ed partecipavano a un’esercitazione di attacco simulato. Qualcosa videro di certo dal momento che segnalarono una situazione di pericolo per tre volte in pochi minuti. Se- condo il magistrato che più di ogni altro ha indagato su Ustica avrebbero visto un caccia mettersi nell’ombra radar del DC9, manovra che potrebbe essere all’origine dell’involontario abbattimento dell’aereo civile durante il duello aereo. Non lo sapremo mai dato che i malcapitati sono periti entrambi durante un’esercitazione a Ramstein. In realtà anche Priore trova difficile credere che un incidente costato la vita a 67 spettatori sia frutto di un sabotaggio, tanto più che l’esito del complotto sarebbe stato incerto. Qualche volta la sorte si mette di mezzo da sola, e non sempre dà una mano ai buoni.

Di certo però non fu di Sandro Pertini la mano che nel 1983 firmò il decreto che cacciava dall’Aereonautica il capitano Mario Ciancarella, che indagava proprio sull’ “incidente”. La firma del capo dello Stato era stata falsificata così, pochi anni fa è stato chiesto al ministro Pinotti il reintegro del capitano. Non è ancora arrivato.

Ci sono un’altra decina di cadaveri sospetti in questa storia costellata da reticenze, omissioni, sabotaggi alle inchieste e nessuna punizione perché i processi si sono sempre conclusi con assoluzioni e/ o prescrizioni. Molte delle provvidenziali scomparse riguardano ufficiali che potevano aver visto qualcosa la notte della tragedia. Molte altre sembrano invece correlate col ritrovamento di un Mig libico caduto, o abbattuto, sui monti della Sila, meno di un mese dopo la battaglia di Ustica. E se è un segreto così gelosamente custodito l’incidente in sé, figurarsi il quadro politico in cui sarebbe maturato. Se lo “scenario di guerra” ci fu davvero, ed è difficile dubitarne essendo escluso il “cedimento strutturale” e apprendo più impossibile che improbabile l’esplosione dovuta a una bomba, senza contare la testimonianza scovata ora da Purgatori, come ci si arrivò? Davvero l’aereo civile italiano finì in mezzo alla battaglia aerea solo per fatale coincidenza? E probabile che non sia andata così. Di certo in quel 1980 l’Italia si trovava col piede in due staffe e presa di conseguenza tra due fuochi. Come Nato era ai ferri corti con la Libia, ma come Paese che aveva organizzato nove anni prima il golpe che aveva portato Gheddafi al potere e che dall’ascesa del colonnello si era avvantaggiato più di ogni altro, voleva mantenere ottimi rapporti con Tripoli. Tanto da consegnare in quello stesso anno ai servizi segreti libici gli indirizzi segreti dei dissidenti riparati in Italia in modo che potessero eliminarlo uno per uno.

L’Italia, secondo la ricostruzione di Priore riassunta nei suoi libri, aveva di conseguenza passato a Gheddafi le mappe con i “buchi radar” che permettevano al raìs libico di volare sfidando le minacce americana e francese, potenze entrambe decise ad abbatterlo. La stessa Italia avrebbe avvertito Gheddafi dell’agguato pronto per la notte del 27 giugno, quando il raìs avrebbe dovuto volare verso la Jugoslavia, salvandogli così la vita proprio come, subito dopo il golpe era stata l’Italia a salvare il neonato regime facendo fallire il contro- golpe organizzato dalla Gran Bretagna e ottenendo in cambio condizioni vantaggiosissime nell’acquisto di petrolio.

È ipotizzabile che gli aerei impegnati nello scontro con i Mig libici, americani o francesi, che fossero non siano andati troppo per il sottile trovando il cielo occupato da un aereo civile del paese infido.

È anche possibile che lo stesso sospettoso leader di Tripoli, nonostante l’avvertimento di Roma, abbia covato il dubbio di un doppio gioco italiano, che avrebbe prima informato la Nato del previsto volo verso la Jugoslavia e poi lo stesso Gheddafi dell’imminente attacco. In questo caso si spiegherebbero i dubbi su un possibile zampino libico nella strage di poco successiva a Bologna. In realtà gli appunti del capo del Sismi in Medio Oriente colonnello Giovannone in possesso della commissione parlamentare d’inchiesta su Moro ma tenuti sotto chiave e secretati al massimo livello registrano la preoccupazione di Giovannone per un attentato in Italia, progettato da un’ala estrema e dissidente del Fronte popolare per la liberazione della Palestina che, come segnala lo stesso colonnello, rispondeva a Tripoli molto più che non al leader dell’Fplp George Habbash.

È inevitabile sperare che la testimonianza di Brian Sandlin possa riaprire un caso che non è mai stato davvero chiuso. Sperare è lecito ma senza illudersi troppo. Non solo nessun responsabile è mai stato processato per quella strage ma sono stati inutili anche i processi per depistaggio. Il muro di gomma, come lo battezzò proprio Purgatori, ha sempre funzionato. Funzionerà ancora.