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 2017  dicembre 19 Martedì calendario

Non si indaga un giudice per una minigonna

Ora addirittura estorsione. 
La notizia che il consigliere di Stato Francesco Bellomo risulta indagato a Bari per estorsione (da 7 a 20 anni) rimette su binari molto italiani una vicenda che per un attimo era sembrata da Paese normale: cioè un Paese che, nel caso, anzitutto cacciasse a calci nel sedere un magistrato responsabile di una bizzarra lista di abusi contro delle studentesse che frequentavano i suoi corsi di formazione; un Paese che, poi, spiegasse seriamente all’opinione pubblica come siano stati possibili dei comportamenti del genere in un ambiente come quello del Consiglio di Stato, organo di rilievo costituzionale. Un Paese che ci spiegasse, di passaggio, perché non dovrebbe accadere più. 
Invece ci tocca scacciare un altro timore: ossia che il Consiglio di Stato, per non finire tutto intero nel mirino dell’opinione pubblica ancora discretamente incazzata con le caste scaraventi un singolo e ormai indifendibile soggetto nel fossato dei serpenti, e questo non solo espellendolo com’è giusto (fatto già in sè rarissimo in 70 anni di Consiglio) ma lasciando che divenga anche una clamorosa eccezione che confermi la regola del caos, dunque un capro espiatorio su cui ora possano esercitarsi tutti i censori del caso. A essere molto italiano è questo. 
RELAZIONI ON LINE 
Va da sè che Bellomo ne ha combinate di incredibili, tra il buffonesco e lo stolker. Sappiamo che, alle allieve che ambivano a una borsa di studio, e che lui riteneva più interessanti, mostrava dei contratti che specificavano l’abbigliamento da indossare: certo trucco, certe minigonne, certi tacchi alti e certe calze. C’erano clausole boccaccesche che vietavano i matrimoni e subordinavano al benestare di Bellomo eventuali fidanzamenti, al punto che le relazioni (comprese le tresche personali di Bellomo) potevano essere pubblicamente discusse sulla dispensa online del corso di formazione. Lo stesso Bellomo ha ammesso di aver raccontato i rapporti sessuali che una borsista aveva avuto con lui e con altri uomini. 
In caso di trasgressione di queste clausole, la multa prevista era di 100mila euro. Da qui la prima obiezione perlomeno nostra: posto che un contratto del genere non è solo ridicolo, ma soprattutto non può esistere perché è automaticamente nullo (come lo fu il Codice di comportamento per i candidati dei 5 Stelle alle amministrative di Roma, con penale di 150mila euro) viene da chiedersi quante studentesse possano averlo preso sul serio e, nel caso, quante di costoro voi giudichereste degne di diventare magistrati dotati dell’equilibrio necessario a decidere della vita altrui. Non ci fosse dell’altro di più serio, Bellomo sarebbe quasi da ringraziare: il suo contratto ridicolo e ricattatorio avrebbe potuto permettere una prima scrematura per futuri magistrati, visto che la magistratura, dal fronte psico-attitudinale, di filtri non ne prevede. 
UN ALTRO LAVORO 
Non fosse chiaro: chi formasse un contratto del genere è meglio che faccia un altro lavoro. Anche perché non stiamo parlando di un contratto per entrare in magistratura, ma di 3000 euro offerti da un corso come tanti altri. Questa considerazione, a parer nostro, non vale meno di quella formulata dal Consiglio di Stato contro Bellomo: aver costretto i borsisti a firmare un contratto che “non rispetta la libertà e la dignità della persona”. Dopodiché Bellomo non era Weinstein, non poteva bloccare una carriera: ma che cosa poteva fare? Il punto è questo. 
Ci sono racconti di alcune studentesse che prefigurano al minimo (ma anche al massimo) reati come stalking o molestie. Ci sono altre studentesse che con Bellomo ci sono state, e pace. 
Il caso che potrebbe fare la differenza, e che forse ha fatto scattare l’accusa di estorsione, è quello di una studentessa di Piacenza che prima ha avuto una relazione con Bellomo ma poi ha preferito interromperla: al che il consigliere, dopo aver pubblicato dettagli intimi sulla dispensa online, avrebbe preso a perseguitarla sino a controdenunciare anche il padre della ragazza. Bellomo avrebbe fatto cercare la studentessa addirittura dai Carabinieri, non si sa a quale titolo, e il racconto è del padre lei a quel punto avrebbe incominciato a soffrire la persecuzione sino a deperire e finire ricoverata. 
PRATICA CELERE 
È un singolo caso, ma ora si muovono improvvisamente tutti: della vicenda si è interessata appunto la procura di Bari (che si ritiene competente perché una sede dei corsi è anche lì) che ha emesso il primo provvedimento e ha preceduto altre procure come Milano, Roma e Piacenza. Intanto il Consiglio Superiore della Magistratura ha sospeso e collocato fuori ruolo il pm di Rovigo Davide Nalin, collaboratore di Bellomo e accusato di aver fatto da “mediatore” tra Bellomo e una borsista per procurare al collega «indebiti vantaggi», anche di «carattere sessuale». Questa l’accusa. 
Fu vera estorsione? Bellomo andrebbe cacciato in ogni caso, questo pensiamo: ma la chiusura sin troppo celere della sua pratica (i tempi della giustizia sanno essere velocissimi) impedirebbe di capirne di più circa un ambiente, il suo, che evidentemente gli ha consentito di portare avanti comportamenti del genere per anni. Più in generale, ci sarebbe da capire come possano certi cialtroni arrivare al Consiglio di Stato dopo esser stati magistrati ordinari dal 1996 al 2002: si parla persone in grado di fare ben di peggio che negare una borsa di studio con metodi da megalomani sessuali.