Libero, 19 dicembre 2017
«Serve orgoglio, altro che un Gentiloni bis». Intervista a Giulio Tremonti
Al senatore Giulio Tremonti non tornano i conti. Non quelli suoi, ma quelli del governo di Paolo Gentiloni. In Parlamento il partito più vasto è quello, trasversale, di chi non vede l’ora di andare a votare per ripartire poi con un bel Gentiloni bis, ma questa ipotesi è considerata contraria all’interesse nazionale dall’ex ministro dell’Economia e delle Finanze del governo Berlusconi.
Non le piace Gentiloni, professore?
«Facciamo come nella fenomenologia di Mike Bongiorno di Umberto Eco, distinguiamo la persona dal personaggio. La persona è assolutamente apprezzabile e con lei ho un antico e personale rapporto di amicizia. Ma non ho un’idea antropomorfa della politica e per questo formulo le mie più ampie riserve se mi si chiede di proiettare oltre la legislatura un governo papalino sotto la guida, si fa per dire, di Gentiloni».
Cos’è che non funziona nel governo Gentiloni?
«La filosofia politica melliflua del premier non è appropriata ai tempi di ferro che stanno arrivando. È una conduzione negativa che ci ha fatto perdere tempo in questi anni facili».
Non è troppo pessimista?
«Le faccio qualche esempio di orgoglio sovrano, il tipo di orgoglio che, per inciso, hanno tutti gli altri governi europei. “A” come acciaio, ovverosia Ilva, che non significa solo Taranto ma tutta la manifattura italiana. Non si è mai vista in Europa una gara in cui il governo partecipa e perde. Era così naturale ed atteso che l’esecutivo vincesse la gara che a Bruxelles si stavano già preparando per un esame ai raggi X per valutare se l’acquisizione italiana fosse basata su aiuti di Stato vietati. Ebbene, non c’è stato bisogno di alcuna indagine, perché il governo ha aiutato gli indiani, che non hanno comprato per produrre qui ma per chiudere o rallentare qui e favorire ciò che hanno in altre parti del mondo».
È la legge del mercato...
«Un governo che si rispetti deve porre un limite al mercatismo, soprattutto quando questo è suicida. Cavour teorizzava il giusto mezzo».
Cosa pensa di quello che sta succedendo in Parlamento con la Commissione Banche?
«Stesso discorso: “B” come banche. Gentiloni in questo momento è il front man di una classe politica che ha abrogato l’articolo 47 della nostra Costituzione, secondo il quale “La Repubblica tutela il risparmio”, e l’ha sostituito con entusiasmo con le regole retroattive del bail in, creando disastri dei quali la stessa maggioranza è finita vittima».
Renzi dice che la Commissione non è un boomerang perché tra dieci giorni cesseranno le polemiche e resterà il lavoro fatto per il risparmiatori...
«Il mio amico Carlo Cipolla, professore di Storia dell’Economia, ha scritto che lo stupido fa male agli altri senza riuscire a fare bene a se stesso. Mi sa dire quali sono il governo e la maggioranza che hanno sostenuto questa Commissione?».
“C” come Commissione, allora?
«E “C” anche come cantieri. Finché il 60% dei cantieri francesi di Saint Nazaire era controllato dai coreani, andava tutto bene. Quando la quota è stata rilevata da Fincantieri, in nome del fraterno spirito europeo Macron ci ha fatto la guerra. Prima ha nazionalizzato il nostro investimento, poi ci ha obbligato a scendere al 50%. E il nostro governo ha ringraziato con un ulteriore cadeau; secondo voci da verificare, questo favore è stato pagato cedendo ai francesi la governance di STMicroelectronics, una colossale e strategica industria elettronica che prima gestivamo in modo paritetico».
Facciamo tutto l’alfabeto?
«Potrei continuare, ma salto direttamente alla “L” di Legge Finanziaria. Mai si era vista, neppure ai tempi dell’esecrata Prima Repubblica, una manovra così sgangherata».
È la classica manovra preelettorale...
«Il ritmo che regge questo governo e la scelta di continuare così non rispondono solo a una logica preelettorale bensì a una logica di favore elettorale come se le elezioni fossero permanenti. Il risultato dell’azione dei governi Renzi e Gentiloni messi insieme è un aumento del debito pubblico del 20%, per quasi 200 miliardi. Il tutto con una congiuntura favorevole e quattro anni di tassi d’interesse a zero. Facciamo come la cicala fingendo di non sapere che veniamo da quattro anni di sospensione della realtà. Quanto ancora può continuare l’assenza di responsabilità dei governi? Io mi auguro che questa irripetibile situazione favorevole duri altri vent’anni ma sarebbe più prudente attrezzarsi per scenari diversi».
Il governo esulta perché siamo tornati a crescere. Lei no?
«Cresciamo la metà del Portogallo. E comunque, in un’economia globalizzata è difficile sostenere che la crescita sia dovuta a fattori locali. Il Pil, come dice il nome, dipende dai produttori, dai consumatori, dai lavoratori e da fattori posizionati fuori dall’Italia molto più che all’azione dell’esecutivo. In realtà il nostro Pil sale soprattutto per l’export, che con Gentiloni c’entra poco».
Allora per l’economia un governo vale l’altro?
«Un governo può far poco per aumentare il Pil, e nel caso di Gentiloni si vede benissimo, ma molto per frenarlo, e si vede con le banche e con la burocrazia. Il codice Delrio sugli appalti è lungo un chilometro e cento metri ed è stato cambiato 50 volte in 17 mesi. Se ne sorteggiassimo un articolo e chiedessimo a Sua Eccellenza il ministro di spiegarcelo, lui stesso non saprebbe cosa dire. E se non ce la fa lui, come può comprenderlo un artigiano?».
Professore, l’analisi è chiara, ma le tocca anche fornire la soluzione del problema...
«Cambiare il governo e il modo di fare politica. Sarebbe opportuno anche che l’esecutivo si mettesse in posizione eretta».
Prego?
«Gentiloni sta cedendo progressivamente e inesorabilmente la sovranità dell’Italia. Guardi quello che è successo con l’Agenzia del Farmaco, che doveva andare a Milano ed è finita a Bruxelles, facendo sfumare un indotto da 1,7 miliardi. Il dossier tecnicamente era perfetto ma il governo non è riuscito a sostenerlo e ha preso una sberla. La Spagna ci ha votato contro: ormai Madrid conta più di noi in Europa, Germania e Francia ce la antepongono come interlocutore».
Dopo il voto però, se non ci sarà un Gentiloni bis forse non ci sarà neppure un governo: meglio così?
«La tesi dell’atarassia politica è suggestiva. Il Belgio è stato più di un anno senza governo, e certo è più rassicurante questa prospettiva rispetto a un Gentiloni bis. Ma se vogliamo tornare a essere italiani con orgoglio forse dovremmo pensare a una cosa diversa».
Si sbilanci...
«Un governo che recuperi orgoglio sovrano e posizione eretta, non un governo papalino gradito perché rassicura tutti solo perché non fa nulla. Il che è peggio dell’atarassia».