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 2017  dicembre 18 Lunedì calendario

La rivoluzione del denaro, tutto passa in un chip

I notai che lanciano la loro blockchain, un archivio decentrato ispirato a quello che anima i bitcoin. Unicredit pronta a varare Buddybank, una banca progettata per smartphone. Il Parlamento che chiama in audizione le startup finanziarie, per capire come stimolare il settore. Sono tre, dei tanti indizi che fanno prova: il fintech è arrivato. La tecnologia di frontiera applicata alla finanza, fino a un paio di anni fa affare da piccole imprese innovative e capitali di ventura, «nel 2017 è diventata inevitabile», dice Marieke Flament, responsabile per l’Europa della startup dei pagamenti Circle. E se non vi fidate di una giovane azienda rampante, eccone una del vecchio mondo: «Qui si giocherà la partita delle banche», conferma Roberto Ferrari, capo dell’Innovazione digitale di Mediobanca. Integrare le soluzioni fintech, dalla blockchain all’intelligenza artificiale, nei processi del credito tradizionale sarà la sfida del 2018. Prima che ci pensino le startup, veloci e senza eredità da difendere. O magari le varie Amazon, Google, Facebook o Apple. Così allenate a far fruttare i dati di milioni di clienti, il tesoro di questa nuova finanza. «Il 2018 sarà l’anno in cui si capirà chi parla di fintech perché è di moda e chi lo fa e capisce davvero», sintetizza Alberto Dalmasso, fondatore di Satispay, campioncino made in Italy dei pagamenti mobile. E avverte: il «cambio di paradigma» non sarà facile per il credito tradizionale. A partire dal bancone della bottega, il rapporto con il cliente. «Le startup lavorano su un modello distributivo diverso, diretto e senza intermediari». Vale per le varie app per scambiare denaro che si scaricano sul telefono, da Satispay a Circle, da Wechat a Stripe: ecco il settore dove la rivoluzione si vedrà prima, con grande scorno di Visa, Mastercard e delle loro commissioni. Ma vale anche per gli altri prodotti del credito, dai consulenti robot che rendono un investimento questione di tre click, fino all’offerta online di prestiti. «Mi aspetto che nei prossimi mesi cresca l’adozione, sempre più utenti cominceranno ad avere fiducia nei nuovi operatori», dice Paolo Galvani, fondatore della piattaforma digitale di investimento Moneyfarm. Secondo una ricerca di EY, oggi una persona su tre, tra quelle connesse, adotta soluzioni fintech. Lo spazio di crescita è ancora enorme. Fiducia: torna spesso questa parola, decisiva quando di mezzo ci sono i risparmi. Specie in Italia le banche hanno magnificato la sicurezza che le vecchie filiali ispirano ai clienti. Salvo che ora, fa notare Antonio Lafiosca di Borsadelcredito. it, che indirizza prestiti da privati alle imprese, gli istituti stanno lanciando i loro prodotti digitali stando attenti a non contaminarli con il marchio del passato. Da Widiba e Buddybank, sportelli digitali di Mps e Unicredit, a Marcus, piattaforma di peer-to-peer lending di Goldman Sachs. «Come se per le banche gli investimenti fintech fossero un business parallelo», dice Lafiosca. «Ma senza aver definito come si rapporterà a quello tradizionale delle filiali. Ecco la risposa che mi aspetto nel 2018». Una traccia di soluzione in verità c’è. Anche negli istituti 2.0 ci sarà bisogno di consulenza al cliente, dicono le banche, così chi oggi lavora allo sportello si potrà spostare su altri servizi a maggiore valore aggiunto. Non è banale: vanno formate nuove competenze, vinte le resistenze al cambiamento. Ma pare addirittura facile, se confrontato con la sfida che la tecnologia sta lanciando al retrobottega del credito, alle operazioni. Qui tutti riassumono la rivoluzione in due parole: intelligenza artificiale. Algoritmi capaci di masticare tonnellate di dati, imparare ed estrarne informazioni preziose. Così come Google sa chi siamo, e lo usa per mostrarci la pubblicità giusta al momento giusto, questi software sapranno leggere le nostre abitudini per capire se siamo buoni pagatori, se abbiamo bisogno di un prestito, se una transazione è a rischio frode. «Le banche sono delle data company», dice Ferrari di Mediobanca. Solo che il dato non basta averlo. Bisogna archiviarlo nel modo giusto, pulirlo, saperlo usare: «Su questo si devono dare una sveglia». Il primo trillo è la Psd2, la nuova direttiva europea sui pagamenti. Da gennaio sarà operativa, e sebbene nel settore ci si aspetti i primi effetti solo a fine anno, traccia una direzione: le banche devono mettere in condizione gli operatori terzi come le startup finanziarie, autorizzate e regolate a dovere, di accedere al conto corrente degli utenti. L’opportunità per i nuovi entranti di scannerizzare le nostre abitudini finanziarie. Dati, appunto, con cui offrire prodotti su misura a costi inferiori. «Anche le startup però stanno evolvendo», replica Roberto Mancone, che dirige la divisione di Deutsche Bank dedicata alle Disruptive technologies & solutions, le tecnologie che cambieranno tutto. «Molte avevano cominciato con un modello diretto ai consumatori, ora si stanno spostando sul business- to-business». Le imprese innovative hanno capito che è dura sostituirsi alle banche. Di più, che ne hanno bisogno per crescere. In parallelo, gli istituti più svegli hanno aperto loro le porte, investendo nel capitale o sviluppando dei progetti congiunti. «Il 2018 sarà l’anno in cui queste partnership daranno i primi frutti», prevede Mancone. «Anche se spesso le banche vivono queste innovazioni in maniera incrementale». Efficienze che migliorano la vecchia infrastruttura, anziché sostituirla. È il caso di tante app create a fianco degli sportelli tradizionali. Ma in fondo anche della blockchain, l’archivio decentrato alla base del bitcoin, di cui varie banche stanno sperimentando una versione privata, nell’idea che le aiuterà a tagliare i costi. Quella partecipata da Deutsche Bank (e Unicredit) verrà lanciata il prossimo anno, al servizio dell’export delle piccole e medie imprese. «Se la logica è solo quella dell’efficienza non salverà banche», avverte Chris Skinner, guru del fintech. Perché nel frattempo, fuori dal mondo del credito, stanno emergendo piattaforme finanziarie del tutto nuove. Vedere il bitcoin, il fenomeno del 2017, capace di imporsi come un mercato da 300 miliardi di dollari. Oppure ciò che a Oriente, frontiera dell’innovazione finanziaria, sta facendo Alibaba, che ha creato una infrastruttura di pagamento e di prestito alternativa a quella bancaria. Già, oltre alle startup nella corsa al futuro della credito stanno entrando anche le “Gafa”: Google, Amazon, Facebook e Apple (più Alibaba). Loro che hanno rotto le barriere tra i settori, e forti della conoscenza dell’utente sono tentate di seguirlo fin dentro al portafoglio. «Amazon sa tutto dei propri clienti business: merce, pagamenti, incassi. E in Usa e Regno Unito ha già erogato 3 miliardi di finanziamenti», spiega Mancone. Ecco lo scenario più preoccupante per le banche tradizionali: che le persone, magari i Millennial, non distinguano più tra i fornitori di servizi di pagamento, finanziari, assicurativi. Che scelgano chi, qui e ora, è in grado di offrire la soluzione migliore, indipendente dal fatto che sia banca, startup o motore di ricerca. «La vera sfida sarà mantenere la lealtà dei clienti, il pilastro su cui si è fondata l’industria finanziaria», sintetizza il manager. Secondo un sondaggio di Accenture, quattro italiani su dieci, addirittura cinque tra gli Under 21, sarebbero già disposti ad aprire un conto corrente su Facebook, Google o Amazon. La partita è aperta.