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 2017  dicembre 20 Mercoledì calendario

Come la piccola Etruria diventò la zavorra di Renzi

MILANO Per due motivi la piccola Banca Etruria ex popolare si trova oggi mostrificata nelle polemiche della commissione inquirente sulle banche. Non solo perché era la banca della circoscrizione – e del padre, e del fratello – di Maria Elena Boschi, che ora i renziani difendono a spada tratta contro i fendenti di tutti gli altri. Ma perchè è un piccolo macigno sul sentiero del governo di Renzi, che le crisi bancarie hanno subito reso più accidentato. Lo era diventato, un macigno, per le condizioni critiche del suo attivo, e poi per i connessi e reiterati tentativi di Boschi e altri membri del governo di risollevare un istituto che rovinando poteva nuocere ai Boschi e a Renzi. Oggi in commissione a Roma ci sarà Federico Ghizzoni, ex ad di Unicredit cui tre anni fa fu chiesto dalla ministra per le Riforme (e poi dall’allora presidente di Etruria, Lorenzo Rosi) di annacquare nel colosso italo-tedesco i mali della banca aretina, che così sarebbe uscita dai radar. Ghizzoni, che da sette mesi non commenta la versione rivelata da Ferruccio de Bortoli in Poteri forti ( o quasi), dovrebbe oggi confermare gli incontri avuti dal novembre 2014 e le richieste di Boschi di interessarsi. Il banchiere piacentino, che all’epoca non gradì quelle che aveva vissuto come interferenze, passò le carte a Marina Natale, vice dg Unicredit che si occupava di acquisizioni.
«In quegli anni i dossier delle banche italiane in difficoltà li abbiamo guardati tutti più di una volta, per possibili fusioni – ha raccontato di quei mesi la manager che ora guida la Sga, società pubblica di recupero crediti – ma Etruria non ci sembrò nelle condizioni». A quell’epoca il patrimonio, spianato dalle svalutazioni su crediti erogati per anni con manica larga, non esisteva quasi più: e dopo anni di ispezioni e pressioni poco risolutive, alla Banca d’Italia non restò che mandare i commissari, che nel febbraio 2015 seppero solo dirigere Etruria verso gli scogli della risoluzione di novembre.
Ad Arezzo, dopo un trentennio di piccole aggregazioni sotto l’egida di Elio Faralli, massone e mentore dei proprietari terrieri d’impronta contadina, era partita una contesa con i poteri cattolici imperniati sull’ex Dc Giuseppe Fornasari.
Proprio lo scontro portò ad aumentare i crediti verso l’immobiliare, e a ingraziarsi i consiglieri introducendo in cda uomini nuovi e forestieri: dal 2009, con “il golpe bianco”, il bandolo passò a Fornasari, con la maggioranza di 13 consiglieri che in breve si indebiteranno con la stessa banca per 185 milioni (compresi i cinque sindaci atti ai controlli), con 198 fidi incagliati o in sofferenza. Già nel 2012 la banca dovette accantonare un miliardo; nel 2013 l’ispezione di Bankitalia rilevò il «degrado irreversibile», e a dicembre Visco impose ai vertici di trovare «un partner adeguato» e sparire. Nel 2014, mentre la banca nominava consulenti che trovassero partner, puntò in parallelo sulla carta Boschi. Il padre Pier Luigi, in cda nel 2011 in rappresentanza delle coop, da maggio 2014 è vicepresidente.
«Una figura di non grande visibilità in città – racconta un ex banchiere Etruria che lo ha conosciuto – ma il successo travolgente della figlia fece sperare in possibili aiuti». Tre mesi prima “Meb” aveva giurato come ministra del governo Renzi.
I mille giorni dell’esecutivo renziano sono stati costellati dalle crisi bancarie – ben dieci -, anche se non certo per responsabilità soggettive. Ma è un fatto che, sottotraccia, le difficoltà di Etruria hanno mosso e fatto muovere, in modo più e meno opportuno, ministri, autorità e operatori. Il tentativo con Unicredit è fra tanti.
Sei mesi prima, nel maggio 2014, c’era stata Popolare di Vicenza, unica banca che – invitata con Bper e un fondo israeliano dagli advisor a visionare i conti per poi fare un’offerta – ebbe il coraggio di lanciare un’Opa in contanti sul 100% di Etruria, soluzione ben vista dalla Vigilanza. L’affondo inquietò molto i banchieri aretini, che temevano di perdere il giocattolo e la rigettarono un mese dopo senza neanche portarla al vaglio dell’assemblea sociale (anche per questo il cda è stato multato dalla vigilanza).
S’inquadra in quelle settimane la richiesta di incontro di Maria Elena Boschi al presidente della Consob Giuseppe Vegas: «Mi espresse preoccupazione per la fusione con Vicenza, le risposi che non era compito della Consob», ha detto in commissione l’ex parlamentare di Forza Italia.
Almeno due gli incontri che la Boschi ebbe con il vice direttore generale di Bankitalia, Fabio Panetta: in aprile, poi nella seconda parte del 2014. Intanto Renzi faceva domande “bancarie” al suo superiore, Ignazio Visco: «La presi come una battuta», ha detto il governatore ieri. L’epilogo arriva nel 2015. A Capodanno il ministro per le Infrastrutture Graziano Delrio chiama il presidente della popolare dell’Emilia Romagna Ettore Caselli chiedendo se gli interessi Etruria. E il 3 febbraio, a 8 giorni dal commissariamento, il dg di Veneto banca Vincenzo Consoli chiama prima il capo di Bankitalia in Toscana poi Boschi padre chiedendo di intercedere su Renzi, pensando a matrimonio a tre con Vicenza e Arezzo: «Domani in serata se ne parla, io ne parlo con mia figlia e col presidente».
Poi la deriva.