Corriere della Sera, 20 dicembre 2017
La lingua della tv
Cosa unisce due universi lontanissimi come Nunzio Filogamo e X Factor ? Il loro contributo alla lingua italiana attraverso la tv, fenomeno che lo straordinario successo di Indietro tutta 30 e l’ode (stasera si concluderà alle 21 con la seconda e ultima puntata su Rai2) ha riproposto a milioni di italiani. Cioè la capacità del mezzo televisivo di arricchire la lingua con espressioni e modi di dire. Nunzio Filogamo è il padre dell’immortale «Cari amici vicini e lontani», nato alla radio col Sanremo ’52 ma poi utilizzato per decenni in tv. L’ultimo X Factor ha imposto, lo ha spiegato il nostro critico televisivo Aldo Grasso, l’icsfactorese: «spaccare», «percorso», «figata», «cazzoh», «superarsi».
Insomma, l’italiano dal secondo dopoguerra a oggi senza tv sarebbe impensabile. Spiega la linguista e lessicografa Valeria Della Valle: «La tv ha influito positivamente sull’italiano soprattutto all’inizio, come elemento unificante della lingua per superare la schiavitù dei dialetti. Poi ha inserito termini e locuzioni. Il “Niente po’ po’ di meno che” inventato da Mario Riva per indicare l’arrivo di un ospite illustre è stato poi sfruttato come “grande novità”. Un fantastico produttore è stato Mike Bongiorno, a partire da “Allegria” passando per “Esatto”. Era di cultura americana, tradusse letteralmente il significato di “ok”. Prima dei suoi quiz nessuno lo usava. Poi “Colpo di scena”, “Fiato alle trombe” e “Quale busta, la uno, la due o la tre?”». Tutto questo, sostiene Della Valle, «è sintomo di vitalità dell’italiano, della sua capacità di reagire all’omologazione, alla banalizzazione. Esistesse un premio speciale, lo darei ad Arbore e al suo gruppo per la ricchezza di proposte, con gratitudine per aver spiegato ridendo che “i film-s” non diventano plurali inglesi nella nostra lingua, basta “i film”».
Ad Arbore e alla sua banda dobbiamo Indietro tutta !, amatissimo dal giornalismo e dalla politica, «Ma la notte no», «Vengo dopo il tg», «La vita è tutta un quiz», «Ragazze Coccodè», i «Separati in casa» di Pazzaglia (prima non esisteva), «C’è chi c’ha», il fortunato «Cacao Meravigliao»: nel 1987 il compassato settimanale Epoca uscì con un inserto speciale intitolato «Epocao» col glossario di Arbore, Frassica e compagni. Le espressioni sgorgate dalla tv sono sterminate. Topo Gigio creò «Ma cosa mi dici mai?», Febo Conti «Chi sa chi lo sa», Peppino De Filippo-Pappagone «Ecque qua», Gianni Minà escogitò «Il bello della diretta» adattabile a mille occasioni, Casa Vianello sintetizzò le ripetitività matrimoniali con «Che noia, che barba, che noia…», Raffaella Carrà significa «Carrambata», una sorpresa spettacolare. Corrado Guzzanti tirò fuori «Quelo» e «La seconda che hai detto», Ezio Greggio a Striscia la notizia ha brevettato «È lui o non è lui?». Materiale espressivo frutto di un incontro tra fantasia, lingua, cultura diffusa, costume, mode commerciali, sentimenti, divertimento.
Per Giuseppe Antonelli, docente di Linguistica Italiana all’università di Camerino, «la televisione è stata un potente mezzo di italianizzazione in una società ancora fortemente dialettofona. Spesso si cita Non è mai troppo tardi ma la vera grammatica condivisa è stata quella implicita nel mezzo televisivo, nella lingua utilizzata. Aggiungerei ciò che è giunto con la pubblicità, per esempio “Non è vero che tutto fa brodo”, da tempo storicizzato e che ha ormai pari dignità di un proverbio popolare e dimostra la capacità di profonda penetrazione della tv anche negli strati più popolari». Ultimamente, afferma Antonelli, le cose sono cambiate: «Umberto Eco distingueva tra Paleo tv, fino al ’76, e poi Neo tv. L’attuale Neo tv non riesce più a produrre termini o vocaboli ma si limita a registrarli e a riproporli, come è accaduto in X Factor e come ha raccontato Aldo Grasso. La tv sembra aver abdicato a un ruolo storico, limitandosi a distribuire dallo schermo materiale gergale ormai già sbiadito».