Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  dicembre 20 Mercoledì calendario

Marcello Minenna: uscire dall’euro si può. Effetti collaterali imprevedibili ma l’inflazione non è assicurata

Marcello Minenna, economista, ex assessore al bilancio della giunta Raggi, viene da molti indicato come il ministro dell’Economia in un governo Di Maio. Lui si schermisce con decisione: «Io ministro in un governo 5 stelle? Sono 25 anni che servo lo Stato e metto le mie competenze a disposizione. Detto questo, nessuno mi ha contattato, per ora parliamo del nulla». Luigi Di Maio dice che, se si arrivasse a un referendum sull’euro, voterebbe per uscire.
Ma si può davvero uscire dall’euro, Minenna?
«Tecnicamente sì, si può, ma non è una passeggiata, bisogna valutare i pro e i contro. Nel 2011, se avessimo avuto un piano B, sarebbe stato molto meno costoso di oggi. Da allora sono state firmate una serie di regole per nazionalizzare i rischi delle nostre banche e del nostro debito pubblico, per cui oggi un’uscita sarebbe assai più onerosa rispetto al 2011».
Lei dice: bisognerebbe però fare delle proposte alternative a quelle viste in Germania.
«Quelle che ho scritto sul Financial Times e Wall Street Journal. Ci sono due trattati da trasporre nelle leggi europee, Fiscal compact e Fondo salvastati. Ho fatto delle proposte per revisionare questi trattati in un’ottica di condivisione dei rischi nel rispetto di logiche di mercato (senza regalie per nessuno). La mia analisi di Target 2 è stata anche ripresa dall’Europarlamento».
Ma arrivare a uscire dall’euro non costerebbe tantissimo? È possibile fare una stima?
«È una cosa che ha delle complessità, infrastrutturali, innanzitutto. Noi oggi siano in un sistema di pagamenti transfrontaliero interbancario, saremmo costretti a uscirne. Ci sarebbero dei problemi, non solo di gestione del debito pubblico, dei debiti privati, della nostra bilancia commerciale, ma anche legati alle infrastrutture operative. Non è solo questione di stampare nuove lire».
Lei disse anche che più passa il tempo e più difficile è.
«Dal 2011 sono state attivate una serie di iniziative a trazione tedesca che hanno segregato i rischi dei debiti pubblici e dei debiti privati delle nazioni. Mentre prima una nostra uscita dall’euro avrebbe creato grossi problemi anche per gli altri (a partire dalle esposizioni delle banche franco-tedesche), oggi gran parte dei rischi li abbiamo reinternalizzati. Mi sembra più interessante fare delle proposte alternative, con un peso che non è quello che aveva la Grecia di Varoufakis. L’Italia è comunque un’economia importante nell’eurozona».
Quali potrebbero essere queste proposte?
«È finito molto sottotono un lavoro di qualche anno fa di Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, forse candidato alla Bce, in cui c’è un chiaro riferimento al fatto che l’euro è reversibile. Dobbiamo prenderne atto. Secondo i tedeschi i saldi Target 2 – cioè i saldi di pagamento tra crediti e debiti del sistema interbancario dell’Europa – andrebbero regolati. Invece il sottoscritto ritiene (e non è il solo) che questi siano dei saldi contabili, collegati alle politiche interventistiche della Bce che hanno supportato un processo di segregazione dei rischi nei singoli Stati. Perciò gli squilibri su Target 2 vanno trattati in questa prospettiva».
Sta dicendo che non sono soldi da ridare?
«Non sono un vero credito esigibile della Germania verso l’Italia. Noi oggi abbiamo un debito di oltre 400 miliardi sul target 2. Se dovessimo fare quello che propose Weidmann nel 2012 (all’epoca della crisi del debito greco), di fatto l’euro si sgretolerebbe. Noi abbiamo 85 miliardi di riserve auree, come arriviamo a garantirne più di 400? È chiaro che si dovrebbe inserire un sistema di controllo di capitali, e probabilmente di tassazione alle transazioni commerciali, razionamenti occulti all’import. Ma quella tassazione non è altro che una valuta ombra che entra nelle transazioni: diventano le euro-lire che valgono meno degli euro-marchi per intendersi».
Ma un’uscita pilotata dall’euro non comporterebbe impennata drammatica dell’inflazione?
«Avremmo una serie di effetti collaterali, alcuni dei quali imprevedibili. Tornando alla lira ritroveremmo una moneta svalutata rispetto alle principali valute di riserva e questo potrebbe ripercuotersi sull’inflazione, ma non è detto. Vedasi lo scenario del Regno Unito post-referendum. La stima si può fare sui credit spread: avremmo una svalutazione del 30 per cento, forse anche con un overshooting del 50. Ma in questi anni perché nessuno ha mai fatto delle proposte alternative a Schaeuble-Weidmann? Perché non ci facciamo bocciare qualche proposta dalla Germania, per esempio la mia proposta di risk sharing sui debiti pubblici, da realizzare secondo criteri di mercato?».
Dal M5S qualcuno le sta chiedendo di elaborare un percorso?
«Diverse forze politiche mi hanno chiesto supporto in eventi su temi di economia internazionale ed ho avuto modo di illustrare le mie proposte. Mi auguro che prima o poi qualcosa si faccia. Francamente non vedo grande reattività. Sono sempre più dell’avviso dopo 25 anni di servizio delle Istituzioni dello Stato che ci sia un problema di classe dirigente. Credo ci vorrebbe un po’ più di società civile».