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 2017  dicembre 20 Mercoledì calendario

Quando Lattuada portò la sua Lupa tra i sassi di Matera

Nel dopoguerra, Matera è il simbolo dell’arretratezza del Sud. I suoi sassi sono una vergogna nazionale. A rivelarli agli intellettuali e ai politici sono, nel ’45, alcuni passi del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Adriano Olivetti, allora presidente dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) e dell’UNRRA-Casas, lancia l’idea di creare a Matera un borgo moderno. Sulla scia di ricerche di studiosi locali, dietro l’ispirazione dell’industriale di Ivrea, viene varata una Commissione per lo studio sulla città e l’agro di Matera. La città diventa una tappa obbligata per sociologi, antropologi, etnologi, giornalisti e ovviamente fotografi.Riccardo Musatti, uno degli “olivettiani” di punta, nel ’50 arriva insieme alla fotografa Marjoy Collins; nel 1951, sempre invitato da Olivetti, c’è addirittura Henri Cartier-Bresson.Del 1952 sono le prime spedizioni etnologiche di Ernesto De Martino, che ha al seguito prima Arturo Zavattini e poi Franco Pinna.Nel pieno di questo fermento giunge la troupe cinematografica guidata da un regista prestigioso, Alberto Lattuada, per girare un adattamento della Lupa di Verga, trasportata dalla Sicilia ai Sassi. Protagoniste sono Kerima, e May Britt, che interpretano rispettivamente la madre e la figlia (anche se una è algerina e l’altra svedese, e la differenza d’età tra loro è di appena 8 anni). Al seguito della troupe, con mansioni di aiuto regista e fotografo di scena, uno dei massimi fotoreporter del dopoguerra: Federico Patellani.I suoi scatti dal set sono in mostra alla Cineteca Italiana di Milano fino al 15 gennaio, e poi a Matera, ed è appena uscito il libro che li raccoglie: Alberto Lattuada – Federico Patellani, Matera 1953 (Humboldt Books, 95 pp., 19 euro).È proprio Patellani a far da legame con quella Matera che interessava gli scienziati sociali. Su Tempo Illustrato ha appena pubblicato un servizio sulle pratiche magiche nella Penisola.L’idea di tornare in Lucania a fianco dell’amico regista non gli dispiace. Il film è un mélo sensuale, senza intenti di denuncia esplicita.Tanto che Lattuada confessa alla rivista Cinema Nuovo i propri sensi di colpa: «Certo nulla di quello che ho visto qui, e mi ha commosso, entrerà nel film; ci sarà soltanto il paesaggio, cioè l’aspetto esteriore di questa bellezza, che non è completa nel suo interesse se non è legata al dramma della vita. Ho dovuto muovermi cercando gli sfondi, solo sfondi. Rinuncia grave, tanto più che nelle pause del lavoro ho capito quale ricchezza umana risiede in questa gente».Quel che Lattuada non può fare, però, lo fa Patellani, che già nella fase dei sopralluoghi trasforma i “provini” in un reportage. Ne risultano due tipi di foto: da un lato Lattuada, le dive, la troupe; dall’altro i fuori campo, ciò che c’è prima delle riprese o fuori dall’obiettivo della macchina da presa, e che un altro obiettivo, meno legato alla dimensione spettacolare, può cogliere.

Ma, pur mediato dallo splendore visivo e dall’erotismo, il Sud di Lattuada non è solo folklore. Nel 2015 il regista Bertrand Tavernier, nel ricevere il Leone d’oro alla carriera, lo inserì tra i suoi film preferiti, argomentando con una lettera (finora inedita) al direttore Barbera: «Il puritanesimo esasperava Lattuada alla stessa maniera dei pregiudizi di casta e di classe. Le sue qualità risplendono in un melodramma sociale come La lupa, film misconosciuto, ispirato, lirico e disturbante: raramente lirismo e senso sociale sono stati così strettamente legati. Lo splendore visivo del film ne fa uno dei vertici del regista. Ma la bellezza delle immagini non deve occultare il loro carattere corrosivo».
Il doppio scandalo, erotico e sociale, del film non sfuggì alla censura ministeriale, che già davanti alla sceneggiatura accusava Lattuada di ridurre il personaggio verghiano a «una femmina in foia per un gagliardo giovanotto, che ella non cessa di turbare con i suoi sensi eccitati», di ritrarre un ambiente che «non può certo giovare al prestigio del Mezzogiorno» e di dipingere i carabinieri come «unicamente preoccupati di tutelare gli sporchi interessi del padrone».Mentre l’esperimento socio-urbanistico di Matera proseguiva nei decenni tra alti e bassi, la città, da luogo dell’eros com’era per Lattuada, sullo schermo diventerà più volte la Terra Santa, dal Vangelo secondo Matteo di Pasolini a The Passion di Mel Gibson.