La Stampa, 20 dicembre 2017
Nel Sud Tirolo che volta le spalle a Vienna: «Meglio fare i settentrionali dell’Italia che i terroni dell’Austria»
L’unico che sembra davvero interessato è un ragazzotto evidentemente sportivo che sfotte divertito: «Ci rimetterete un sacco di medaglie».
Se davvero gli sportivi altoatesini potranno
scegliere la bandiera per la quale gareggiare, quelle sui palmarès italiano nello slittino o nello sci potrebbero davvero essere le conseguenze più gravi del passaporto austriaco che Vienna vuol concedere a tutti i sudtirolesi di lingua tedesca. O almeno questa è l’impressione al mercatino di Natale davanti al Duomo, che come tutto il resto di Bressanone dà l’impressione di essere appena uscito dal Dixan. L’offensiva revanscista del nuovo governo neroblù di Vienna non sembra causare molta emozione, nemmeno fra i montanari appena scesi dal maso per vendere in città lo speck e il vin brûlé (però bio, qui sono tutti verdi, anche quelli che i Verdi non li votano).
Il disinteresse è perfettamente bipartisan, giovani e vecchi, sinistra e destra unite nel ritenere la sparata viennese una trovata politica meno solida della panna montata sulla Sachertorte. «Passaporto, quale passaporto? Al Brennero non ce n’è bisogno, non è più tempo di dogane. Noi siamo esseri umani del pianeta terra, e stop», spiegano Manuel, meccanico, e Benjamin, imprenditore, che per l’utopia hanno almeno l’attenuante dell’età, rispettivamente 26 e 28 anni. «Io sono italiana da 46 anni, perché dovrei diventare austriaca?», chiede Martha, macellaia, sistemando cataste di salsicce dall’aria appetitosa. «Io non ci vedo nessun vantaggio, sinceramente non abbiamo di che lamentarci», questo è Joseph, verdure bio. «Più che il passaporto austriaco, io aspetto quello europeo», dice Reinhold, custode del Duomo. E Helga, dal suo banco dove vende addobbi di Natale in vetro ammiratissimi dai bambini (il Natale è la festa dei bambini e dei tedeschi, figuriamoci dei bambini tedeschi), mette il dito nella piaga: «Pagare le tasse a Vienna o a Roma? Preferisco farlo a Roma. Almeno so che ne tornano indietro di più».
Ecco il punto. Gli italiani saranno pure in Alto Adige per diritto di conquista, una volta che vinciamo una guerra, e senza nemmeno essere passati da uno dei soliti plebisciti taroccati specialità di Casa Savoia. Però non c’è minoranza più autonoma, foraggiata, rispettata e insomma coccolata di quella tedesca. E gli autoctoni lo sanno benissimo. Riassume la situazione Gregor, che studia Storia a Innsbruck, ma per arrotondare vende in piazza un vino caldo buonissimo e micidiale: «Siamo italiani da un secolo, non scenderei mai per le strade per un passaporto. Macché sovranità. Qui, sulla questione, di sovrana c’è solo l’indifferenza». Un passante commenta cinico (infatti è chiaramente italiano): «Meglio fare i settentrionali dell’Italia che i terroni dell’Austria».
E allora la questione è davvero tutta e solo politica. Peggio: di politica austro-austriaca, con i liberali dell’Fpö che, da bravi populisti, fanno a chi le spara più grosse. «Ma così il rischio è quello di spaccare la nostra società, di mettere i sudtirolesi gli uni contro gli altri, e Vienna contro Roma», accusa Hans Heiss, storico, consigliere provinciale dei Verdi, della famiglia che gestisce dal 1773 il meraviglioso albergo cittadino, l’Elephant. «A Vienna i popolari avevano valutato se inserire nel programma la richiesta del doppio passaporto e avevano deciso di no. È uno dei prezzi che hanno dovuto pagare ai loro nuovi alleati. Ma ai sudtirolesi queste manovre interessano poco».
Interessano invece alla Svp. L’impressione è che il partito storico della minoranza tedesca sia stato spiazzato dalla mossa austriaca, che è subito diventata uno spot per i due tosti partitini alla sua destra, la Süd-Tiroler Freiheit e Die Freiheitlichen. L’eurodeputato Herbert Dorfmann, ovviamente, non ci sta: «Non è vero, la Svp è da sempre favorevole al doppio passaporto. Del resto, l’Italia concede il suo a chiunque possa dimostrare di avere un antenato italiano dal 1861 in poi, quindi non ci sarebbe nulla di strano». Il problema è come procedere. «A differenza dei liberali austriaci e della destra sudtirolese, noi pensiamo che non abbia senso dire: lo facciamo l’anno prossimo. Bisogna farlo invece in uno spirito di collaborazione, in ambito europeo e dopo un accordo bilaterale italo-austriaco. Da Vienna vorremmo semmai che venga inserito nella Costituzione austriaca il diritto e dovere di vegliare sulla minoranza di lingua tedesca del Südtirol».
Insomma, con tutta l’umana perfettibilità del caso, quello dell’Alto Adige è un modello di convivenza che funziona. Vale davvero la pena di metterlo a rischio per dare a metà degli altoatesini un altro passaporto, oltretutto dello stesso colore di quello che hanno già?