La Stampa, 20 dicembre 2017
L’ultimo saluto di Spelacchio
«Bene, mi avete dichiarato ufficialmente morto ma prima di andarmene due paroline ve le vorrei dire. Il mio nome è Spelacchio, me lo avete dato voi perché sono arrivato a Roma per fare l’albero di Natale che ero già mezzo stronco. Ma in Val di Fiemme, dove m’avete preso, ero un bijou. E poi guardatevi le vostre teste, le vostre gambette pallide, spelacchioni. Ora il sindaco apre un’inchiesta per sapere di chi è la colpa. E il Codacons vuole il danno erariale. Ma che v’è preso? Sono costato 50 mila euro, 0.017 euro per ognuno di voi romani. Ma quanto siete diventati micragnosi? Ma pagate le tasse, altro che 50 mila euro. Assenteisti. Falsi invalidi. Sempre inutilmente rabbiosi. Continuate a votare e non vi va mai bene chi avete votato. Poi mi sono anche divertito, eh? Chi mi voleva tumulare al Pantheon, chi mi ha chiesto se mi aveva portato Cappato. Ce la siamo spassata, dài. Però un sacco di gente ci ha montato sopra una rogna. Con tutti i problemi che abbiamo, dicevate, state a discutere di un abete? E sant’Iddio, si scherzava. Questa è mia: se Raggi si fosse occupata di me quanto Boschi si è occupata di Banca Etruria, adesso sarei un baobab. Ma quelli che dicevano che figura che ci fa Roma? Che penseranno i turisti? Avete una città buia, caotica, lercia, buttate tutto a terra, non funziona niente e coi turisti sarebbe colpa mia? Vabbè, ragazzi, Buon Natale. Quest’anno è andata così, il prossimo andrà meglio, visto che io non ci sarò... Ah, un’ultima cosa, guardate che non sono io la metafora dell’Italia. Siete voi».