la Repubblica, 20 dicembre 2017
E la nebbia creò lambrusco e parmigiano
In una fotografia del 1992, poco prima della sua scomparsa, Luigi Ghirri ha ritratto una porzione di terreno nelle vicinanze della sua abitazione. S’intitola Roncocesi, alle porte di Reggio Emilia. Raffigura uno spazio erboso, uno spazio tra due porzioni quasi invisibili di terreno a destra e a sinistra, e poi una persona che cammina là in fondo, dove domina un biancore quasi palpabile. Forse è Gianni Celati, perché gli assomiglia parecchio. Non a caso uno dei più bei racconti dello scrittore ferrarese s’intitola “Nella nebbia e nel sonno”, un vero capolavoro.
Ghirri è stato il fotografo di questo fenomeno atmosferico che chiamiamo nebbia, dal latino nebula, “oscurità”, “opacità”.
La nebbia c’è in molte regioni del mondo, da Londra a Parigi, dai Paesi Bassi alla Baia di San Francisco, da Pietroburgo a Venezia, ma in nessun posto del globo la nebbia s’associa al Lambrusco e al Parmigiano Reggiano. La nebbia è un fenomeno naturale che consta di vapore acqueo che si condensa all’altezza del terreno riducendo la trasparenza dell’aria e la visibilità dei luoghi.
Nella Valle Padana, l’unica grande pianura del nostro Paese, c’è per buona parte dell’inverno (sebbene ora sia un po’ in calo). Fa parte di quei fenomeni che rendono questa porzione di territorio irriguo. O al contrario: l’umidità delle zone irrigue e il loro riscaldamento produce la nebbia. Come ha scritto una volta Luciano Bianciardi, la nebbia “viene su dalle rogge fumiganti che vanno ad allagare le marcite, sì da consentire dieci tagli di fieno all’anno, e infatti ha l’odore di stalla”. Senza quei tagli d’erba, che diventa poi fieno, non ci sarebbe il cibo giusto per le mucche, che producono il latte, con cui poi si fa il Parmigiano Reggiano.
Il migliore è quello che si produce d’inverno, il Vernengo. Buonissimo.
L’hanno probabilmente inventato i monaci che un tempo dominavano questa pianura, quando eclissato l’Impero Romano e cadute in rovina le antiche città, erano sorti i monasteri benedettini dentro la Pianura e lungo i colli sovrastanti. Loro hanno trovato le tecniche per creare il più buon formaggio del mondo.
L’unico.
Ma anche il Lambrusco non ci sarebbe senza la nebbia.Un po’ di quella bruma finisce infatti dentro le bottiglie, che devono spumare per respingere la malinconia che la nebbia suscita nei cuori degli abitanti.
Malinconia e riflessione.
La nebbia ti fa pensare.
A cosa? Al Nulla. Per questo ci sono Parmigiano Reggiano e Lambrusco, ma anche gli insaccati che il norcino prepara quando la nebbia comincia a fare la sua apparizione alla soglia dell’autunno. L’etimo della parola Lambrusco è incerto.
Alcuni dicono che viene da labrum, che sarebbe il margine dei campi, là dove una volta crescevano le viti, in origine un confine tra un campo e l’altro (e qui bisognerebbe raccontare cosa è stata la centuriazione romana che ancora si legge nel territorio della Pianura). Forse anche da ruscum, la pianta spontanea, cioè la vite. Il Lambrusco è il vino più diffuso nel mondo. Lo si può bere dappertutto, ma solo lì tra i fossi e le cavedagne che benedicono le campagne, lo si produce ancora.
Una terra è i suoi umori e il suo clima. E i suoi cibi.