il Fatto Quotidiano, 20 dicembre 2017
Taglio alle pensioni d’oro: ecco perché non si può parlare di un’ingiustizia
Chi ha ragione tra Matteo Renzi e Luigi Di Maio in relazione all’effettiva possibilità di recuperare 12 miliardi di euro di spesa pubblica dalle pensioni più elevate, le cosiddette pensioni d’oro? Renzi ha contestato con vigore il dato citato da Di Maio in un’intervista a Radio Anch’io del 15 dicembre, sostenendo, come ha riportato il Fatto: “Se vogliamo prendere 12 miliardi di euro dalle pensioni dobbiamo tagliare a chi prende 2.300 euro di pensione. Ci rendiamo conto? Qualcuno può legittimamente dire che duemila euro di pensione sono una pensione d’oro? A noi sembra folle”.
Poiché non risulta sia stata fatta chiarezza oggettiva sulla questione sarebbe utile andare a verificare i dati ufficiali relativi alla distribuzione delle pensioni per classi d’importo mensile e la relativa spesa totale per le casse della previdenza pubblica. Una prima sorpresa consiste nello scoprire che gli ultimi dati di questo tipo pubblicati dall’Istat risalgono al 2014, un anno non proprio vicinissimo, in una pubblicazione annuale dal titolo “Trattamenti pensionistici e beneficiari”. Nel report si scopre che nel 2014 sono stati spesi 277 miliardi di euro per i trattamenti pensionistici di tutte le tipologie, ripartiti tra 23,2 milioni di trattamenti e 16,3 milioni di pensionati, dato che circa un pensionato ogni tre è titolare di più di un trattamento. L’importo medio è stato di poco inferiore ai 12 mila euro lordi annui per trattamento, mentre ha raggiunto i 17 mila euro per pensionato. Quanto pesano e quanto costano all’interno di questo sistema le pensioni più elevate? Dei 23,2 milioni di trattamenti totali quelli superiori a 3 mila euro mensili sono risultati pari a 745 mila, di cui 560 entro i 5 mila euro mensili, 176 mila tra 5 e 10 mila e ulteriori 9 mila trattamenti sopra i 10 mila euro al mese.
La spesa totale per il loro insieme è stata di 29,4 miliardi. Recuperare ben 12 miliardi da questa cifra può sembrare difficile, dato che bisognerebbe ridurre i trattamenti, oltretutto superando la linea Maginot dei cosiddetti “diritti acquisiti”, di circa il 40 per cento.
I dati e il relativo ragionamento sono tuttavia destinati a cambiare notevolmente se anziché considerare i trattamenti pensionistici si andassero a vedere i beneficiari, quindi chi prende l’assegno. Scopriamo allora che i pensionati sopra i 3 mila euro mensili erano nel 2014 poco meno di un milione e che essi hanno beneficiato di una spesa previdenziale complessiva pari a oltre 52 miliardi, il 78 per cento in più dei 29 miliardi a cui si arrivava osservando le sole pensioni. Il loro reddito medio da pensione è stato di 52 mila euro annui. È giustificato provare a risparmiare su questa spesa? Per rispondere bisogna porre la domanda cruciale: chi paga o ha pagato per queste pensioni? Perché se esse fossero corrispondenti ai contributi versati durante la vita lavorativa dei beneficiari è molto difficile ritenere che si possano modificare. Diverso invece se il loro ricalcolo, applicando il criterio contributivo, portasse a valori decisamente inferiori.
Fabrizio e Stefano Patriarca in uno studio pubblicato in sintesi sul sito lavoce.info a fine 2013 hanno calcolato per le pensioni di anzianità erogate nel quinquennio 2008-2012 l’eccesso delle prestazioni effettive, di tipo retributivo, rispetto al loro importo contributivo. Ciò che emerge è che l’importo retributivo è sempre maggiore di quello contributivo e che lo scarto tra i due risulta crescente in termini percentuali all’aumentare della prestazione. In sostanza più è elevata la pensione retributiva più è grande, sia in valore assoluto che in percentuale, il regalo che il sistema di calcolo ha generato al suo interno rispetto alla semplice equivalenza attuariale dei contributi versati. Così, per fare un esempio, sulle pensioni che non superano i mille euro mensili il maggior importo effettivo rispetto al criterio contributivo si limita al 19 per cento, mentre sulle pensioni superiori a 3 mila euro arriva alla cifra record del 52 per cento. Se tutte le pensioni erogate nel quinquennio studiato e superiori a 3 mila euro fossero state invece determinate col criterio contributivo, il loro importo medio sarebbe stato di 2.728 euro, mentre l’importo medio effettivo è stato di 4.143 euro, con un “regalo” individuale medio mensile da parte della finanza pubblica di 1.414 euro. Cifra che su base annuale fa oltre 18 mila euro. Chi paga per questo regalo pubblico donato a chi se la passa meglio?
I risultati di questo studio, riferito alle sole pensioni di anzianità erogate in un determinato quinquennio, non sono immediatamente applicabili all’intero stock delle pensioni in essere. Se tuttavia lo fossero, e si potesse dire che un terzo della spesa pensionistica che va alle pensioni più elevate è risparmiabile, allora si dovrebbe parlare di 17,4 miliardi di euro annui anziché dei 12 che sono stati citati.
È eccessivo farlo? Probabilmente sì, ma è anche eccessivo sostenere, sul versante opposto, che tutto va bene così com’è e che bisogna continuare ad applicare aliquote contributive esorbitanti, che non trovano equivalente in nessun’altro Paese al mondo, anche su redditi modesti generati da lavori precari. Il tutto per continuare a regalare benefici a chi non sembrerebbe proprio trovarsi in uno stato di bisogno.