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 2017  dicembre 20 Mercoledì calendario

L’ultima linea di difesa: «Niente pressioni». Ma il conflitto d’interessi c’è eccome

L’ultima linea di difesa è riassunta in una frase della nota che Matteo Renzi ha diffuso dopo l’audizione del governatore Ignazio Visco: “Mi fa piacere che egli finalmente fughi ogni dubbio sul comportamento dei ministri. Nessuno di loro ha mai svolto pressioni ma solo legittimi interessamenti legati al proprio territorio”. Niente pressioni, quindi tutto a posto.
Perfino la legge Frattini del 2004, tagliata su misura di Silvio Berlusconi, però riconosce che il conflitto di interessi ha una dimensione oggettiva: “Sussiste situazione di conflitto di interessi quando il titolare di cariche di governo partecipa all’adozione di un atto, anche formulando la proposta, od omette un atto dovuto (…) ovvero quando l’atto o l’omissione ha un’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate (…) con danno per l’interesse pubblico”. Basta partecipare alla decisione, non essere decisivi. L’Antitrust, che vigila sul rispetto della legge, ha assolto Maria Elena Boschi proprio perché non ha partecipato a quattro Consigli dei ministri in cui si parlava di provvedimenti che colpivano Banca Etruria (la scelta di non partecipare è quindi una implicita ammissione del conflitto). In altri Paesi i vincoli sono molto più stringenti: in Francia un decreto del 2014 prevede il ministro in posizione di conflitto potenziale “ne informa per iscritto il primo ministro precisando il tenore delle questioni sulle quali prevede di non poter esercitare i suoi poteri”, un apposito decreto poi trasferisce le competenze su quei dossier al primo ministro. In Italia la Boschi avrebbe dovuto scrivere a Renzi dicendo che non poteva occuparsi di banche. E ogni suo incontro sarebbe risultato anche formalmente una violazione.
Ancora peggio in Gran Bretagna: la premier Theresa May ha fatto firmare ai suoi ministri un codice di condotta che prevede “la responsabilità personale” del ministro che deve stabilire quali azioni sono necessarie “per evitare un conflitto o la percezione di un conflitto”. Basta che ci sia il sospetto di una situazione di interessi confliggenti e il ministro deve, di sua iniziativa, fugare ogni dubbio con atti concreti. E questo riguarda anche gli interessi dei coniugi e dei parenti stretti.
Cose che succedono soltanto all’estero? Mica tanto. La legge sul traffico di influenze illecite (priva di vere conseguenze penali perché nessuno ha stabilito cosa sia il traffico lecito, cioè il lobbying) dimostra che per il legislatore le “pressioni” sono un sottoinsieme dei comportamenti scorretti. L’articolo 346 bis del codice penale stabilisce infatti che è punibile chi “sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio”. Nessun pm ha contestato illeciti alla Boschi, ma i banchieri che si rivolgevano a lei (direttamente o tramite suo padre) lamentando le ingerenze di Bankitalia di sicuro speravano che lei sfruttasse i suoi rapporti per trarne qualche utilità spingendo pubblici ufficiali a cambiare i propri comportamenti.