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 2017  dicembre 20 Mercoledì calendario

L’Anormale di Arezzo

C’è per caso qualcuno che ha incontrato la Boschi negli ultimi quattro anni senza che lei gli parlasse di Etruria? Forse il panettiere, il gommista, il barista sotto casa. Forse. Da quel che sta scoprendo la Commissione parlamentare sui crac bancari, l’ex ministra parlava di Etruria con quelli a cui non avrebbe dovuto parlarne (banchieri, Consob, Bankitalia) e non ne parlava con quelli a cui avrebbe dovuto (il ministro dell’Economia Padoan). C’era una volta lo scoop di Ferruccio de Bortoli che a maggio, nel suo libro Poteri forti (o quasi), rivelò una richiesta dell’allora ministra Boschi all’ad Unicredit Ghizzoni affinché salvasse la banca vicepresieduta dal babbo Pier Luigi. C’era una volta la smentita della Boschi, che negava qualunque richiesta a Ghizzoni e annunciava querela a De Bortoli, tanto sanguinosa le pareva l’accusa di essersi occupata – proprio lei – di Etruria. E c’era una volta il Pd renziano che, dopo aver annunciato una commissione d’inchiesta sulle banche fin dal dicembre 2015, fece melina per un anno e mezzo nel terrore che arrivasse qualcuno a scoperchiare gli altarini dei Boschi o a svelare la sgangherata gestione del governo sui dossier creditizi.
Oggi, dopo una settimana di audizioni sul caso Etruria, è il gran giorno di Ghizzoni. Ma non c’è più bisogno di lui per sapere se la Boschi si sia o meno impicciata nei destini di Etruria, abusando della sua qualità di ministro e in pieno conflitto d’interessi: si sa già tutto a prescindere dalle sue parole. Se Ghizzoni confermerà la richiesta boschiana per il salvataggio di Etruria, non farà che aggiungere l’ultimo capitolo al lungo rosario di interferenze già svelate da Vegas, Consoli, Padoan e Visco in commissione e da varie inchieste giornalistiche e giudiziarie. Interferenze che resterebbero tutte anche se Ghizzoni dovesse smentire quella su Unicredit. Tutti gli italiani informati hanno già capito che la Boschi, nei suoi tre anni di esperienza ministeriale, è riuscita nella difficile impresa di trovarsi sempre nel posto sbagliato. Sapeva di essere in conflitto d’interessi, per la sua doppia veste di ministra e di figlia del vicepresidente di Etruria (oltreché di piccola azionista, come il resto della sua famiglia): infatti, quando si decideva sulle banche, si asteneva 4 volte dal Consiglio dei ministri e così, restando dietro la porta, si metteva a posto, se non con la coscienza, almeno con quella burletta della legge Frattini (fatta apposta per santificare i conflitti d’interessi di B.). È proprio per il suo dentro-fuori ai Cdm che l’autorità Antitrust archiviò la pratica dei suoi conflitti d’interessi il 23 dicembre 2015.
Ma allora nessuno sapeva ciò che sappiamo oggi. 1) La Boschi parlò con Vegas della temuta fusione fra Etruria e Pop Vicenza, allarmata com’era per l’industria aretina dell’oro (l’ha detto Vegas, aggiungendo di averle spiegato di non avere competenze sulle fusioni bancarie, e l’ha confermato lei stessa); poi Vegas – visto il suo spasmodico interesse per la banca aretina – la invitò invano a casa sua alle 8 del 29.5.2014, proprio mentre Pop Vicenza lanciava l’Opa su Etruria (l’ha detto lei). 2) La Boschi perorò la causa di Etruria con Ghizzoni (ormai lo ammette anche la Boschi, tant’è che non si capisce quali danni chieda a De Bortoli). 3) La Boschi partecipò a bocca chiusa a un vertice nella villa di famiglia tra il babbo, il presidente di Etruria Fornasari e l’ad di Veneto Banca Consoli (l’ha scritto il Fatto e l’ha confermato Consoli). 4) La Boschi chiese di Etruria al vicedirettore di Bankitalia Panetta (proprio mentre gli ispettori di Bankitalia indagavano gli amministratori della banca, babbo compreso, poi multati per la loro mala gestione: l’ha detto Visco). 5) Il ministro Padoan era ignaro degli interventi segreti della Boschi per Etruria, non avendola mai delegata a occuparsi di banche (l’ha detto lui). 6) Renzi chiese a Visco di Etruria e della temuta fusione con Pop Vicenza, preoccupato com’era (lui o la Boschi? Ah saperlo) per i soliti orafi aretini (l’ha detto Visco, aggiungendo di aver pensato a uno scherzo e di non averlo degnato di una risposta).
Sei fatti, sei plateali prove del conflitto d’interessi della Boschi, e ora anche di Renzi. Che continuano a parlare di incontri “normali” perché non erano “pressioni” (parola che nessuno ha mai usato e che infatti Renzi&Boschi continuano a negare, nel disperato tentativo di cancellare le loro interferenze). Ma, per incappare in un conflitto d’interessi, non occorre fare pressioni né ottenere favori per sé o per i propri cari: basta la condizione oggettiva di poter influenzare decisioni a vantaggio di sé o di propri familiari, a prescindere dai risultati. Quali vantaggi poteva procurare la Boschi a papà Pier Luigi? Almeno tre: a) intralciando la fusione fra Etruria e una banca più grande, poteva avvantaggiare il sistema di potere in cui era inserito il suo babbo; b) avvicinando gli organi di vigilanza, poteva intimorirli nelle indagini sugli amministratori di Etruria, compreso il suo babbo; c) brigando per il salvataggio della banca, poteva risparmiare al suo babbo le multe (due di Bankitalia, una di Consob) e le accuse di bancarotta e falso in prospetto. Senza contare che l’unico membro del governo autorizzato a parlare con gli organi di vigilanza è Padoan, e non in qualità di ministro, ma di presidente del Cicr (Comitato interministeriale credito e risparmio), vedi l’art. 7 del Testo Unico Bancario. Se Boschi&Renzi non l’hanno presente, conosceranno almeno il giuramento prestato sulla Costituzione al Quirinale il 22.2.14: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”. Non di Etruria, degli orafi aretini e del sederino del babbo.